«Un Governo fuori dalla trincea Lega-UDC dai pugni ai sorrisi»

La serie di interviste ai vertici dei partiti continua con il presidente del PLR Alessandro Speziali che abbiamo incontrato nella sua Paudo. Dalla cena con i leghisti e Daniele Piccaluga, alla sua nuova squadra, passando per il pasticcio sui premi di cassa malati. Senza dimenticare l’arrocco in forma mini e la seduta straordinaria che si terrà alla fine di agosto.
Siamo a Paudo, il «buen ritiro» di Alessandro Speziali. Ripartiamo da quello che ci diceva tre anni fa da qui lanciando l’idea di un «Patto di Paudo» per larghe intese borghesi. Oggi possiamo parlare di fallimento?
«Non userei termini altisonanti. Tra elezioni, votazioni e assestamenti vari, non si è creato il momento giusto. Tutto è a geometria variabile. Io ci credevo e ci credo ancora: rimane l’unica via per una maggioranza stabile in Parlamento, capace di affrontare temi cruciali come lavoro, scuola, i grandi investimenti. Penso alla recente mozione interpartitica sulla copertura delle autostrade per restituire territorio alle persone».
Ma cosa vede oggi il presidente del PLR?
«Un caleidoscopio: basta un movimento e tutto cambia. La politica vive di stagioni e umori, volubili come il meteo in alta montagna. Per molti, il 2027 elettorale è già dietro l’angolo. L’ansia per un posto al sole cresce. In fondo, winter is coming».
Quindi «patti addio»?
«Al contrario, serve ancor di più un fronte liberale e responsabile, borghese, capace di credere nel progresso. Nell’immediato, vedo accordi puntuali possibili su temi all’ordine del giorno. Anche se trovare compagni di viaggio è sempre più arduo».
Forse quello più naturale dovrebbe essere il Centro. O sbaglio?
«Si è romanzato molto sulle presunte incompatibilità tra me e Fiorenzo Dadò. In realtà, non ci sono problemi personali: dobbiamo solo gestire visioni e umori diversi all’interno dei rispettivi partiti. E qualche inciampo c’è stato».
Prego?
«Prendiamo l’esempio delle casse malati: da parte nostra è stato preso male il cambio di rotta sui sussidi RIPAM e poi la bocciatura in aula del controprogetto alle due iniziative in voto a settembre, forse perché troppo con “timbro PLR”. Un paio di voti di scarto che bruciano, e non solo a me».
Come se lo spiega?
«Le logiche mediatiche e comunicative rendono ogni tema e ogni sessione di Gran Consiglio un’opportunità per profilarsi».
Però non è un po’ come trovare sempre un colpevole piuttosto che ammettere una falla propria?
«Nessuno è immune, ci mancherebbe, e tantomeno Santo. Prendiamo però i conti preventivi: si piazzano subito paletti e bandierine e solo dopo si cerca una visione d’insieme. È l’ansia da smarcamento che genera più travaglio che soluzioni. E se guardo i conti dei prossimi anni, mi viene in mente un pittore spagnolo che ammoniva: “Il sonno della ragione genera mostri”».


Lei e Dadò non siete quindi due uomini Alfa?
«È stato lei a scriverlo. Ma non siamo incompatibili. Io e lui andiamo anche d’accordo e ceniamo pure insieme (sorride). Su certi temi, al netto di approcci diversi, c’è terreno comune: pensiamo per esempio alle Valli e al loro oro blu, alla giustizia funzionante, al carico amministrativo delle PMI o all’attenzione per una scuola meno ideologica».
Parliamo un po’ di arrocco. Si mormora di una cena tra lei, Piccaluga e forse altri. Erano davvero le basi per un grande «inciucio»?
«No. Nessun accordo sull’arrocco. Era una cena in un ristorante pubblico (niente di carbonaro), come ne ho fatte con altri presidenti e Piccaluga era fresco d’investitura. Volevo semplicemente capire quale Lega ci saremmo trovati davanti, vista la pluralità di anime».
Ma di cosa avete discusso?
«Vedo che c’è molto prurito attorno a quella cena. Volevo capire se la nuova Lega sarà quella dello sfascia-finanze o quella più disciplinata. Ricordo anche un accenno al costo dei troppi ospedali e cliniche in Ticino, con impatti negativi sulla qualità. E sì, si è anche parlato della cottura impeccabile della carne e di alcuni vitigni. Nessuna traccia d’arrocco».
E della nuova coppia antilupo (leggasi Zali) costituita da Dadò-Marchesi cosa ne dice?
«Il lupo in sé c’entra poco. Io sono vicino alle valli e all’economia di montagna: se ci avessero coinvolto, ci saremmo stati. La nostra posizione è nota. Non facciamo guerre personali ai consiglieri di Stato, anche perché controproducente. E poi il vento politico cambia in fretta».
Però ad alimentare dubbi sul vostro «coinvolgimento» nell’arrocco sono state le sue dichiarazioni morbide-morbide, quasi da persona edotta e coinvolta. Che ne dice?
«Che i tormentoni sono duri a morire. Chi non si scaglia con ferocia è automaticamente connivente? Quella domenica c’era solo la prima pagina del Mattino. Poi però è arrivata l’inaccettabile invasione di campo del potere giudiziario da parte di Gobbi-Zali: un mix di spavalderia e arroganza. Dopo lo sgarbo istituzionale, la nostra critica si è fatta pressante, fino al definitivo scarabocchio votato all’unanimità. Ora vedremo i risultati».
E che dire della sessione straordinaria di fine agosto?
«Ci saremo, è un dovere istituzionale. Ma l’utilità ci sfugge totalmente: si discuterà di qualcosa che è competenza del Consiglio di Stato, già commentata da tutti. Speriamo almeno si riesca a parlare di come migliorare: magistratura, grandi opere, sburocratizzazione. E mi viene in mente il decluttering».
Ovvero?
«Ha in mente quando si fa ordine in casa e si gettano oggetti inutili per liberare spazio e migliorare l’ambiente? Ecco, negli scorsi anni in Vallese il Parlamento ha deciso di fare lo stesso con le leggi. Pulire, semplificare e abrogare norme superflue, vecchie o ridondanti. Un impegno a favore dei cittadini, delle aziende e anche degli amministratori. Vedrei più utili sessioni così».
E del compromesso governativo che dice?
«È la logica del governo consociativo, con cinque persone che devono lavorare insieme fino alla fine. Sorprende - ma non troppo - l’unanimità finale, dopo le bordate iniziali del PS e del Centro. Mi aspetto che ad agosto il Governo esca dalla trincea delle scelte tecniche e presenti un programma politico chiaro su cui poi misurarsi».


Cosa resta da fare in questa legislatura?
«Ci sono leggi importanti, come quella sull’edilizia, ferme da troppo tempo. Dobbiamo semplificare la vita dei cittadini, ridurre costi e come detto la burocrazia. E dare più autonomia ai Comuni: come detto qualche mese fa, o entro dicembre 2025 si concedono ai Comuni 2 o 3 competenze chiare, o chiudiamo Ticino2020. Basta un poco di buona volontà».
E cosa dire al cittadino?
«Non smetto di volere una politica capace di decidere e riformare. I cittadini sono stanchi delle polemiche sterili. Serve una scuola dell’obbligo più solida, una mobilità efficiente nel Sottoceneri, investimenti nel turismo e nell’industria, più lobby a Berna su temi chiave come la perequazione e i canoni d’acqua. Sono queste le partite che contano per il Ticino».
Qualche mese fa ha rinnovato la squadra dirigenziale del PLR. Come va?
«La squadra è tonicissima. Con Farinelli abbiamo un ottimo collegamento federale, Käppeli segue i Comuni, Ferrara porta energia creativa, Poloni è sempre sul pezzo su diversi temi del territorio. Si rema insieme».
Per essere forti e amalgamati occorre però che nessuno si candidi al Governo…
«Questa squadra è pensata per qualità e presenza. Non mi fascio la testa sui nomi del 2027».
D’altronde prima dovete attendere che si esprima Christian Vitta…
«Christian maturerà le sue decisioni. Le discuteremo insieme, nei tempi giusti».
Dopo che Lega e UDC avranno deciso cosa fare, e ovviamente pure Zali…
«Non speculiamo sugli altri. Come nei film di Bud Spencer: dai pugni ai sorrisi è un attimo».
E che bilancio si può fare della massiccia coabitazione tra partiti e una massiccia frangia di partitini?
«Una soglia al 3% era matura. La frammentazione complica il lavoro parlamentare. Ci sono colleghi molto validi e contribuiscono alle soluzioni, altri che si limitano a criticare. La democrazia, si sa, è un’orchestra dove anche i triangoli suonano forte».
Al mio arrivo a Paudo mi ha mostrato una copia ingiallita dell’Eco di Locarno del 1982, con un’intervista a suo nonno Carlo Speziali, allora consigliere di Stato. Cosa le è rimasto di quella lettura?
«I problemi restano immutati: una crescente complessità, funzionari sempre più influenti, un rapporto con Berna da coltivare con maggiore costanza. Un governo a sette oggi sarebbe improponibile, ma per il resto potremmo ristampare quelle parole senza cambiare una virgola. Il cuore di tutto sta nel ricordare con Einaudi che la politica, prima di decidere, ha il dovere di conoscere. E conoscere davvero significa studiare, approfondire, capire: solo così si può decidere con responsabilità».