Un padre, due figli all’estero e una battaglia che continua

«Il mio obiettivo non è quello di riportare in Svizzera i miei figli, ma è quello di migliorare il sistema». Così si era espresso il papà, sulle nostre colonne, il 23 settembre del 2023. «La battaglia di un padre» si intitolava l’articolo. Ci aveva raccontato la sua storia: un divorzio con alcune difficoltà, due figli minorenni e l’intervento dell’Autorità regionale di protezione la quale aveva preso una decisione, il 6 luglio del 2022, senza concedere l’effetto sospensivo. Quale? «Autorizzare il trasferimento dei minori (i figli, ndr) in Francia unitamente alla madre». Otto giorni dopo, però, ci fu la modifica della decisione da parte dell’ARP la quale, tornando sui suoi passi, aveva concesso il già citato effetto sospensivo. I minori, però, erano già partiti per la Francia. Avevano in sostanza già lasciato la Svizzera.
Oggi la battaglia del padre - negli anni supportata anche dal movimento Papageno - continua, grazie anche alla sentenza pronunciata il 7 novembre dal Tribunale federale.
Non luogo a procedere
Dobbiamo tornare al luglio del 2022. Di fronte alla «marcia indietro» dell’ARP1 l’uomo decide di denunciare l’Autorità per abuso di autorità e coazione. A stretto giro di posta, il 2 agosto 2022, il sostituto procuratore generale Moreno Capella emana un decreto di non luogo a procedere non «riscontrando alcun elemento di rilevanza penale». Il padre, però, non ci sta e si rivolge alla Corte dei reclami penali la quale, il 3 febbraio del 2023, gli dà sostanzialmente ragione: viene annullato il decreto di non luogo a procedere «in quanto l’inchiesta era stata carente e meritava ulteriori approfondimenti». Tutto da rifare. Il 19 giugno del 2023 ecco una nuova decisione della Procura: abbandono del procedimento penale «ritenendo non adempiuti gli elementi costitutivi dei prospettati reati». Il papà, nuovamente, non ci sta e impugna la decisione con un reclamo alla Corte dei reclami penali la quale, però, il 29 febbraio del 2024 lo respinge.
Non demorde e – assistito dall’avvocato Daniel Ponti – si rivolge al Tribunale federale. Massima istanza che, a conti fatti, il 7 novembre accoglie il suo ricorso. La battaglia, l’abbiamo già detto, continua.
Il diritto al contraddittorio
Nella sentenza pronunciata dai giudici Abrecht, Kölz e Hofmann si spiega innanzitutto che «il ricorrente rimprovera al Ministero pubblico di non aver proceduto all’interrogatorio dei membri dell’ARP1, limitandosi a chiedere al collegio una presa di posizione scritta». Per questo motivo, a mente del ricorrente, è stato disatteso «il diritto di partecipare all’assunzione delle prove, in particolare di assistere all’interrogatorio degli stessi e di porre loro domande». In estrema sintesi, dunque, le parti non sarebbero state correttamente sentite e ci si sarebbe limitati, sostanzialmente, a dei rapporti scritti. Procedura che, a conti fatti, non ha raccolto i favori della massima istanza. Il Tribunale federale ricorda infatti che «spetta alle autorità di perseguimento penale attuare l’interrogatorio». Di conseguenza, viene scritto nero su bianco nella sentenza, «il diritto al contraddittorio non è stato rispettato». Per i giudici di Mon Repos risulta quindi che «la garanzia del diritto al contraddittorio del ricorrente è stata disattesa dalle istanze cantonali» e, per questo motivo, la sentenza impugnata deve essere annullata e la causa «deve essere rinviata alla Corte dei reclami penali per una nuova decisione». Si va avanti, dunque. Il genitore ce lo aveva raccontato nel settembre del 2023, ora con forza l’obiettivo è ribadito: «So che non sarà facile poter riportare in Svizzera i miei figli, ma punto a migliorare il sistema. Con il loro agire mi hanno impedito di fare opposizione e di tutelare i miei figli, seppure in mio diritto».

