Una fuga da cinema che non evita la condanna

Quanto avvenuto la sera del 31 marzo scorso sulle strade del Mendrisiotto, potrebbe essere paragonata a una scena tratta da un film d’azione: pattuglie di polizia e dell’UDSC (le Guardie di confine) che danno la caccia a un’auto che ha saltato un posto di blocco. Un inseguimento partito da Rancate e poi sviluppatosi lungo le strade della montagna, tra Besazio e Arzo.
Poi la brusca manovra, il ritorno verso Mendrisio, l’abbandono dell’auto, la fuga a piedi e il nascondiglio dentro un rudere nella campagna tra Rancate e Besazio. Tentativo di sottrarsi alle forze dell’ordine che non era andato a buon fine. Ma perché questo disperato tentativo di scappare? Perché nel veicolo c’erano poco più di 100 chilogrammi di hashish.
Da Milano alla Svizzera
Oggi l’uomo alla guida, un cittadino marocchino di 23 anni, e i due correi (un cittadino francese di 25 anni e un algerino di 34 – che al momento del posto di blocco, all’interno dell’auto che doveva fungere da staffetta, decisero di non darsi alla fuga – sono comparsi davanti alla Corte delle assise correzionali di Mendrisio, presieduta dal giudice Marco Villa. E hanno fatto i conti con la giustizia: i tre sono stati condannati a pene tra i 18 e i 19 mesi di detenzione, sospesi condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni. Nei confronti del terzetto è stato riconosciuto il reato di infrazione alla legge federale sugli stupefacenti. Il 23.enne che si è dato alla fuga, in aggiunta, è stato condannato anche per grave infrazione alle norme della circolazione stradale e impedimento di atti dell’autorità.
Stando a quanto ricostruito dall’inchiesta, i tre si sono recati a Milano per recuperare un’auto – e la merce – da trasportare in Svizzera. Entrati dal valico minore di Novazzano/Marcetto una pattuglia delle Guardie di confine, insospettitasi dal transito di due auto con targhe del Canton Vaud e francesi, ha deciso di organizzare, all’altezza di Rancate, il blocco. Il resto è storia nota. Ma per la procuratrice pubblica Marisa Alfier – la quale, durante l’arringa, ha chiesto pene detentive tra i 22 e i 24 mesi – confrontarsi con le varie versioni degli imputati, non dev’essere stato un gioco da ragazzi: «Hanno raccontato di tutto e di più – ha commentato in aula –, tante frottole». Durante i verbali, e ancora oggi a processo, sono emerse più storie: da chi ha detto d’aver soltanto accompagnato l’amico a prendere un’auto e riportarla in Francia a chi ha sostenuto di dover prendere a Milano un carico di vestiti. Infine anche la versione del «viaggetto per ripagare uno torto, ovvero un piccolo furtarello». Per la procuratrice pubblica si è trattato unicamente di «versioni fantasiose: in realtà i tre si sono messi a disposizione per trasportare l’hashish dall’Italia alla Svizzera». Di diverso avviso le posizioni delle difese, rappresentate dagli avvocati Michele Sisini (per il 23.enne), Véronique Droz Gianolli (per il 34.enne) e Fabiola Malnati (che ha assistito il 25.enne). Pur non contestando il reato di infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti per il trasporto dell’hashish, i legali si sono battuti per una riduzione della pena e tutti hanno chiesto che fosse posta al beneficio della sospensione. E il giudice Villa, come detto, nel leggere il dispositivo della sentenza, ha pronunciato pene sospese. «Tutti e tre – ha spiegato il presidente della Corte – con gradi di responsabilità differenti, erano parte attiva di questo traffico. Al limite – ha commentato – può essere riconosciuto che, forse, non erano al corrente di quale stupefacente si trattasse che, fortunatamente per loro, è di tipo ‘leggero’». Nei confronti del 34.enne è stato riconosciuto il ruolo principale (si è recato la sera prima a Milano e ha pernottato in un hotel e, in aggiunta, si è rifiutato di guidare l’auto con lo stupefacente), mentre gli altri due «sono stati ingaggiati».