Lo spunto

«Varese, Como e Lugano unite possono competere con Milano»

La regione, se vista dall’alto, forma una metropoli di 1,83 milioni di abitanti - Il sindaco di Varese Galimberti parla dei rapporti con il Ticino e delle potenzialità, rispetto ai grandi centri, delle città medie - «Però devono collaborare»
© TiPress/Francesca Agosta
John Robbiani
08.08.2020 06:00

Lugano (68.000 abitanti la città, 150.000 la sua area urbana) dista 32 chilometri da Varese (81.000 abitanti la città e addirittura 890.000 la sua provincia). Varese dista 29 chilometri da Como (85.000 abitanti, 599.000 la sua provincia), che a sua volta dista 32 chilometri da Lugano. In mezzo c’è il Mendrisiotto, con i suoi 51.000 abitanti. A conti fatti ci si rende conto di essere di fronte a una metropoli di 1,83 milioni di abitanti. Più o meno come la «Greater Zürich Area», ma in meno chilometri quadrati. Ma dell’esistenza di questa metropoli divisa da un confine ci si accorge quasi sempre solo quando si parla di mercato del lavoro (frontalieri) e del loro spostamento (traffico). E ci si conosce sì e no, malgrado le numerose frequentazioni. Alzi la mano chi tra i ticinesi ricorda il nome del sindaco di Varese. O chi tra i varesini conosce il nome di quello di Lugano. E proprio con il sindaco di Varese (si chiama Davide Galimberti ed è del PD) abbiamo parlato di questi aspetti. E di tanti altri.

Lo spettro della periferia
Partiamo appunto dalla «città insubrica». Come si inserisce Varese in questa regione? «Noi stiamo cercando di potenziare questo concetto di area metropolitana alternativa a Milano. A inizio anno abbiamo presentato al presidente Sergio Mattarella uno studio che evidenzia come le città intermedie, se connesse ad altre realtà simili, possono costituire dei poli competitivi molto più efficaci ed efficienti rispetto alle metropoli. Da uno studio emerge che, guardando alla Svizzera e alla regione di Como e Lecco, questo territorio sarebbe in grado di competere adeguatamente con Milano. E ovviamente Varese è nel mezzo: guarda al possibile nuovo polo, che in maniera autonoma e senza una strategia comune si sta delineando, ma al contempo e per ovvie ragioni guarda anche all’area metropolitana. Soprattutto in questo post-COVID in cui le città grandi stanno soffrendo anche in termini di residenzialità, perché è certo che a Varese o a Como si vive meglio che a Milano. E poi ci sono anche le sinergie. Noi in 30 minuti di treno siamo nel capoluogo lombardo». Milano è dunque anche una grande opportunità ma – e questo ce lo diceva in novembre anche il sindaco di Como Mario Ladriscina – è guardata con un po’ di diffidenza. Como e Varese, in definitiva, non ne vogliono diventare la periferia.

Treni rapidi per Malpensa
Galimberti è anche convinto che lo sviluppo del polo «città insubrica» verrà accelerato dalla nuova linea ferroviaria con il Ticino (la Mendrisio-Malpensa). Ferrovia che però, facciamo notare, ha ancora qualche problemino (in Ticino ci si lamenta per esempio del fatto che molti minuti vengono persi per fermate giudicate un po’ inutili, e questo non solo alle stazioni). «In prospettiva – spiega il sindaco –sarebbe interessante immaginare, di concerto con i Comuni più importanti, treni che in determinate fasce orarie si fermino solo alle stazioni più importanti per rendere per esempio più rapida la percorrenza tra Lugano e Malpensa».

Pandemia e frontiera chiusa
Questo polo però, durante la fase acuta della pandemia, è rimasto letteralmente diviso in due. Frontiere chiuse, famiglie separate, frontalieri che per giorni o addirittura settimane non sapevano se e per quanto tempo sarebbero potuti venire a lavorare in Ticino. «Questo ha dimostrato la complementarietà delle due economie e dei due territori sotto il profilo sociale e culturale. Vero che sono separati da una frontiera, ma è altrettanto vero che proprio in questi mesi in cui è stato impossibile transitare i due territori hanno, seppur in modo diverso, sofferto».

Inevitabile parlare della pandemia. Cosa ha significato essere sindaco di un centro lombardo e vedere in tivù le immagini di Bergamo o Brescia con i camion militari incolonnati per spostare i corpi delle vittime? Svegliarsi con il timore che una cosa del genere succedesse anche a casa propria? «Significa essere ancora più attenti agli altri. Quando c’è un pericolo aumenta nelle persone che ricoprono incarichi pubblici il senso di responsabilità. Un ruolo importante l’hanno chiaramente avuto i medici e il personale sanitario, ma anche le istituzioni hanno retto. Il timore c’era. È evidente. Noi, a differenza di Bergamo e Brescia, siamo stati poco colpiti, ma la paura che i contagi arrivassero con lo stesso impeto c’era. E poi c’era una grande preoccupazione per il dopo. Proprio per questo abbiamo creato subito due assi all’interno dell’amministrazione. Uno si doveva concentrare sull’emergenza, l’altro doveva già immaginare il dopo e trovare per esempio sistemi per mitigare gli effetti della crisi, mettendo in circuito del denaro che il Comune aveva a disposizione».

Unioni e separazioni
Chiudiamo parlando di un aspetto quasi più sociologico. Ci sono probabilmente più movimenti tra Varese e Lugano che tra Lugano e Bellinzona.Ma stranamente, come accennato, non ci si conosce più di tanto. Manca una sorta di cultura reciproca tra le due parti del confine? «Su questo – conferma Galbimberti – possiamo di sicuro fare di più tutti quanti, sia in Svizzera sia in Italia. Quando parlo della creazione di un polo alternativo non mi riferisco solo a un polo economico, ma a qualcosa in grado di far emergere anche condivisioni sociali e culturali. Nei prossimi mesi e nei prossimi anni potremmo davvero lavorare su questa situazione: concentrarci su una cultura condivisa più che sugli scambi prettamente economici o, perfino, sulle separazioni».