Vincent Ducrot: «Tutti in Svizzera sono allenatori della nazionale e CEO delle FFS»

L’incidente sotto il tunnel del Gottardo e i successivi disagi hanno portato le FFS al centro del mirino di critiche più o meno giustificate? Ne parliamo con il CEO, il friburghese Vincent Ducrot, in carica dal 2020. Allora, vennero sottolineate da più parti le sue origini, il suo «marchio» FFS.
Signor Ducrot, un modo come un altro per sottolineare le aspettative nei suoi confronti. Ritiene di aver dato, sin qui, una risposta all’altezza?
«Non sta a me giudicare il mio lavoro. Alle FFS abbiamo fatto molti progressi, negli ultimi tre anni. Basti pensare alla puntualità, ai massimi storici. Certo, siamo passati da una crisi importante, con la pandemia, ma ora siamo tornati a un livello di passeggeri paragonabile a quello che avevamo prima del COVID, anzi persino oltre il livello del 2019. Il traffico è tornato, insomma, regolare. Sottolineo anche che alle FFS affrontiamo le crisi in modo molto professionale. Vale anche per quella legata all’incidente nel tunnel del San Gottardo. Nonostante le critiche ricevute, abbiamo gestito anche questo evento in modo molto professionale. E allora oggi non si dovrebbe giudicare il singolo, bensì l’intera struttura, l’organizzazione. E personalmente sono molto soddisfatto dei progressi che abbiamo fatto come FFS. Dopodiché, dobbiamo continuare a migliorare. Molte persone paragonano le FFS di oggi alle FFS di vent’anni fa, ma non è la stessa cosa: il numero di treni è raddoppiato, il sistema è molto più diffuso e, all’epoca, i clienti sui treni erano molto meno numerosi».
In effetti, le FFS sono un mito svizzero. Le aspettative della popolazione sono quindi sempre alte. Giustificate, secondo lei?
«Scherzo sempre sul fatto che il CEO delle FFS è come un allenatore di calcio: in Svizzera ci sono 8 milioni di persone che sanno fare le cose meglio di te. E questo è quanto. Al di fuori della battuta, questo dimostra un vero attaccamento della popolazione. E allora è chiaro che dobbiamo rispondere, sempre, nel modo più convincente possibile. Non possiamo fare tutto, d’accordo, perché le aspettative sono molto alte, ma va detto che c’è una certa distanza tra la volontà politica di costruire tutte le infrastrutture desiderate e i fondi a disposizione della Confederazione. C’è una discrepanza. Ciò di cui abbiamo bisogno, come FFS, è di avere un orario stabile, il più robusto possibile, e di offrire ciò che promettiamo. E per farlo, abbiamo bisogno di infrastrutture che funzionino, che siano ben mantenute, e di materiale rotabile che funzioni, che sia di buona qualità. E qui, secondo i nostri indicatori, siamo migliorati molto, ma possiamo fare ancora di più. Anch’io sono un cliente delle FFS, e quando sono un cliente e il mio treno è in ritardo, non sono contento. Ecco allora che dobbiamo continuare a cercare di migliorare, soprattutto in puntualità, qualità, pulizia e così via».
Anche in Ticino, lei se ne sarà accorto, siamo in effetti tutti allenatori della nazionale e pure CEO delle FFS. Noi stessi portiamo pressione sulle FFS. Immagino però si possano comprendere alcune preoccupazioni, a cominciare proprio dalle conseguenze dell’incidente nel San Gottardo.
«Vale per tutte le regioni. Ma quali sono le regole del gioco? Ho la sensazione che spesso, al di fuori dei deputati che fanno parte delle Commissioni dei trasporti, in pochi sappiano davvero come funzionino le cose. A dettare le regole sono l’Ufficio federale dei trasporti e il Parlamento. Noi, come FFS, siamo una sorta di studio di ingegneria: l’Ufficio federale dei trasporti commissiona uno studio, noi lo eseguiamo e lo presentiamo. Noi possiamo dare le nostre priorità, ciò che per noi è essenziale per migliorare il sistema, ma poi a decidere sono i politici. Lo stesso vale per le tariffe, di cui ci viene spesso chiesto conto. In Svizzera, in realtà, le tariffe vengono decise dalle oltre duecento aziende di trasporto che gestiscono il sistema. Il CdA di Alliance SwissPass, l’associazione mantello che regola i temi tariffali, è composto da undici membri, e noi abbiamo un voto. È molto importante che queste regole del gioco vengano ben comprese. In questo senso, mi piace molto lavorare con i politici, avere scambi con loro. In Ticino vengo spesso, sono in contatto regolare con la delegazione ticinese alle Camere, ed è così che facciamo progressi. Ma, ripeto, solo capendo bene le regole del gioco, possiamo fare passi avanti. Dirò di più, vorrei lanciare un messaggio alla delegazione ticinese: è importante che si coordini con altre regioni per cercare di ragionare a progetti comuni per far avanzare le priorità. È fondamentale, oggi: nessuna regione del Paese può pensare di ottenere qualcosa da sola. C’è bisogno di alleanze».
Lei ha parlato di priorità delle FFS. Quali sono le priorità che riguardano direttamente il Ticino?
«Al momento ne abbiamo tre, in particolare. La prima è scontata, la riparazione del tunnel di base del San Gottardo. La seconda è definire, una volta per tutte, il progetto delle Officine di Bellinzona, perché ciò equivale a un segnale molto forte per il Ticino. Ma ora avremo il permesso di costruire? Non lo avremo? Ci saranno ricorsi contro il permesso? È una fase in cui abbiamo bisogno di ancora un po’ di tempo. E dobbiamo anche ottimizzare il progetto, che era troppo costoso. La terza priorità è aumentare la qualità della rete celere ticinese. Oggi, infatti, abbiamo una puntualità non sufficientemente buona, e dobbiamo migliorarla. Abbiamo già migliorato il materiale rotabile, e il livello ora è paragonabile a quello del resto del Paese. Dobbiamo quindi lavorare con il Cantone e anche con la Regione Lombardia, per trovare soluzioni che rendano il sistema più stabile. Poi, in aggiunta a queste priorità, ne abbiamo altre. Basti pensare allo sviluppo, molto importante anche per il Ticino, del collegamento Zurigo-Milano».
Torniamo all’incidente nel Gottardo. Avvenuto il 10 agosto, ha arrecato vari disagi al cantone.
«Ovviamente me ne rendo conto. Per chi viaggia dal Ticino o verso il Ticino la situazione non è ideale. Devo dire però che c’è già stato un grande miglioramento, con il potenziamento dei mezzi a partire dal cambiamento di orario del 10 dicembre. E poi le cose andrebbero messe un attimo in prospettiva. Ripeto: capisco le preoccupazioni dei ticinesi, ma se si guardano i dati di ottobre e novembre, il traffico verso il Ticino è addirittura superiore del 10% rispetto al 2019. Possiamo dire, insomma, che il traffico è aumentato. Certo, è inferiore alle nostre aspettative, ma già si è stabilizzato. E poi siamo intenzionati a offrire soluzioni alle persone che vogliono andare in Ticino. Perché qualche potenziale viaggiatore è andato perduto, me ne rendo conto. Anche in questo caso però vanno riconosciute le regole del gioco, perché abbiamo un vincolo: non possiamo fare grossi lavori nel tunnel e, allo stesso tempo, far circolare i treni passeggeri. È un fatto di cui occorre essere coscienti, prima di reclamare il treno ideale per le proprie prerogative. Per questo, con il dipartimento di Albert Rösti, siamo giunti alla conclusione di fare solo i lavori più leggeri nei fine settimana e di fare i lavori più consistenti dal lunedì al venerdì».


Fino a quando?
«Così sarà fino a Pasqua. Da Pasqua in poi, speriamo di non avere più questo vincolo, di poter lavorare e, nello stesso tempo, far passare alcuni treni. È il nostro obiettivo: aumentare il numero di treni passeggeri a partire da Pasqua. Se lo facessimo oggi, non arriveremmo in tempo con la conclusione dei lavori per settembre 2024. Dovremmo probabilmente aggiungere altri sei mesi di attesa. Intanto, per il traffico delle merci, siamo già a buon punto. Ci sono stati diversi scambi con Hupac e abbiamo trovato soluzioni per il trasporto delle merci. Ma per le merci è più semplice, perché possiamo far circolare i treni e, al contempo, fare lavori grossi nel tunnel. In tutti i casi, mi preme sottolineare una cosa».
Quale?
«Che un evento del genere non si poteva assolutamente prevedere. Poi ci sono migliaia di esperti che vi diranno il contrario, che avremmo potuto fare questo o quello, che avremmo potuto fermare più velocemente il treno. Ma ci si dimentica che parliamo di treni da duemila tonnellate che sfrecciano a cento chilometri all’ora. Su quel treno c’erano carrozze con rilevatori di deragliamento, e nonostante ciò una parte del treno è comunque deragliata».
Mi conferma che avremo la riapertura completa non oltre il mese di settembre?
«Stiamo esaminando tutte le possibilità per poter riaprire completamente prima di settembre. Settembre è l’obiettivo sul calendario, lavorando cinque giorni e facendo circolare i treni passeggeri nel fine settimana. Se riusciamo a trovare una soluzione per lavorare sui sette giorni e, al contempo, far circolare i treni passeggeri nei fine settimana, potremo essere più veloci».
Il tema è naturalmente connesso alle richieste di misure di compensazione. Qual è la sua posizione in merito?
«Torno a quanto dicevo prima, alla conoscenza delle regole del gioco. Bisogna sempre ricordarsi del fatto che il sistema tariffale svizzero è stabilito a livello nazionale. È un sistema statico, non dinamico. Fosse dinamico, allora quando tutto va bene dovremmo essere autorizzati anche ad aumentare le tariffe, per esempio in estate, o a Pasqua, o all’Ascensione. Il sistema nazionale però non lo prevede, ma anzi dice che, da un punto specifico all’altro, non importa come si viaggia, il prezzo è lo stesso. Questa è la regola del gioco, ed è una regola politica. Noi, come FFS, abbiamo comunque alcuni strumenti, e li utilizziamo. Il primo è il biglietto risparmio. Il secondo, promesso anche alla deputazione ticinese, consiste in una campagna di marketing, che lanceremo quando saranno finiti i lavori. Prima non avrebbe senso. Inoltre, in collaborazione con Ticino Turismo, abbiamo già implementato alcune campagne che hanno ottenuto un ottimo riscontro. Il sistema tariffale, comunque, lo ribadisco, è uno strumento politico. E noi siamo obbligati a rispettarlo, perché altrimenti renderemmo l’intero sistema instabile».
È tutto molto chiaro. Certo però che, di fronte all’incidente in questione, così come ai disagi sulla linea tra Ginevra e Losanna, viene il sospetto che le infrastrutture possano non essere all’altezza.
«Il livello delle infrastrutture in Svizzera è valutato come buono. Ogni anno produciamo un rapporto sullo stato della rete, e questo rapporto ci dice che lo è, che il nostro livello è buono. Una valutazione costante nel tempo, che ci permette anche di determinare il livello di manutenzione delle strutture e di capire eventualmente come intervenire. E così, ogni quattro anni, con l’Ufficio federale dei trasporti, stabiliamo quali siano le risorse necessarie. Noi su questo punto siamo chiari: se ci date meno fondi, perderemo il nostro rating. La domanda che dobbiamo porci è allora la seguente: quali risorse sono necessarie per mantenere il livello attuale? Dobbiamo investire oggi, altrimenti avremo problemi tra qualche anno. Poi gli incidenti possono accadere, e a volte si può fare poco per evitarli. Capisco che quando si è coinvolti, si rimane infastiditi. Ma resta il fatto che, oggi come oggi, abbiamo un ottimo livello di manutenzione della rete e buoni tempi di reazione. Per lo stesso Gottardo, la ridondanza ci ha permesso di minimizzare i disagi. È un bene che ci sia, perché ci ha permesso di riorganizzare il sistema molto rapidamente, con alternative immediate per le merci. Abbiamo 1.300.000 clienti che prendono quotidianamente il treno, e per loro facciamo tutto il possibile per evitare questo tipo di guasti».


Anche in termini di comunicazione? Molti si sono lamentati.
«Posso garantire che, come FFS, stiamo lavorando molto seriamente proprio sul sistema di informazione ai clienti in caso di interruzione di una linea. È un elemento essenziale. Sappiamo che è difficile, nei primi minuti, a volte nelle prime ore, dopo un guasto, tenere informati i clienti, e stiamo apportando importanti modifiche al sistema. Quando ai clienti viene spiegato il motivo di un’interruzione, con trasparenza, con precisione, quando viene loro offerta un’alternativa, sono spesso comprensivi anche nei nostri confronti. La cosa peggiore è non avere informazioni, rimanere bloccati senza sapere perché».
Parlando di priorità: il prolungamento di AlpTransit a sud di Vezia. Certo, la decisione non è delle FFS. Ma ogni volta, l’impressione è che ci si scontri contro un muro, a Berna. Non sarebbe comunque strategico, anche per voi, nell’ottica dell’attivazione del “terzo valico” italiano?
«La prima cosa da fare è chiedersi: se costruisco un’infrastruttura, qual è l’offerta che si prevede di proporre con quella infrastruttura? Quali sono i nostri obiettivi? Noi ci diciamo: dobbiamo migliorare i servizi di trasporto merci per Luino, dobbiamo fare in modo che da Zurigo a Milano si impieghino al massimo tre ore, dobbiamo poter continuare a sviluppare la linea celere in Ticino dove le frequenze a volte sono insufficienti. Ecco, di fronte a questi fattori, determineremo anche quale infrastruttura è davvero necessaria. Ma questa visione non c’è ancora. Il Cantone ci sta lavorando, ci sono discussioni in merito. Ma quando avremo la visione, allora dovremo fare in modo che il Ticino unisca le forze con altri Cantoni, con San Gallo, Lucerna, Basilea, Zurigo, la Svizzera romanda, e crei un concetto d‘insieme. Poi io sarei anche d’accordo. Ed è importante che continuiamo a svilupparci, naturalmente in collaborazione con la politica. Molto viene fatto in seno alla Commissione dei trasporti».
Insiste molto sul concetto di rete, di progetti d’insieme.
«Tutte le regioni devono essere collegate tra loro e portare avanti un discorso d’insieme. Guardate, nel 2023 ho incontrato venti volte le commissioni parlamentari, e posso affermare che le alleanze sono essenziali. Quel che più conta è che ci sia, alla base, un concetto. Che cosa si vuole ottenere? Quando l’Ufficio federale dei trasporti valuta un progetto, guarda sempre al concetto e se l’infrastruttura in questione soddisfa questo concetto».


Se traduco bene la sua risposta: per quanto riguarda il prolungamento di AlpTransit, lei non vede questo “concetto”. È così?
«Il concetto non c’è ancora. Ad oggi, ancora ci si concentra troppo sulle infrastrutture, ma non sul concetto d’insieme. Avremo una crescita del traffico merci tale da portare a limiti di capacità? Non sembra così dalle previsioni, almeno fino al 2050. E allora la domanda seguente deve essere: dove, invece, abbiamo problemi? Per noi l’asse di Luino: è lì che abbiamo il maggior numero di problemi. Tanto per cominciare, sappiamo che l’accesso ai terminali non è buono e che non abbiamo abbastanza binari di deposito per i treni. Ma questi sono elementi assolutamente prioritari in termini di operatività. Ed è per questo che vanno fatte previsioni accurate. Poi il consigliere federale Albert Rösti ha un ottimo dialogo con l’Italia nel cercare di raggiungere determinati accordi. E nel momento in cui ci sarà più traffico merci, dovremo fare un ulteriore passo in avanti, questo sì. E allora sì a un prolungamento, a tappe: ma dipende dall’offerta».
A proposito, come è cambiato il suo lavoro passando il DATEC dalle mani di Simonetta Sommaruga a quelle di Albert Rösti?
«Come FFS, abbiamo sempre un rapporto molto stretto con i consiglieri federali. Ognuno ha un suo stile, poi. Lo stile di Albert Rösti è diverso da quello di Simonetta Sommaruga. Ma al di là dello stile, il dialogo è proseguito. Sono contento che Rösti sia un grande promotore della ferrovia. Lui stesso vuole sviluppare il sistema e la mobilità in Svizzera. È positivo che ci sia, in questo senso, una continuità di visione. Sappiamo che è la forza della Svizzera: al di là delle personalità, avere un obiettivo comune. Nel nostro caso, lo sviluppo della mobilità. E poi in Svizzera il Parlamento ha un peso molto forte, e le Commissioni dei trasporti fanno molto in questa direzione. Questa è la Svizzera, i compromessi sono la nostra forza, ed è questo che ci fa andare avanti».
Tornando a un quadro generale, giudica all’altezza il rapporto qualità-prezzo del servizio offerto dalle FFS? Come spiegare, se non con un calo di questo rapporto, le varie lamentele?
«Sono felice quando le persone ci indicano un problema, perché possiamo analizzarlo e risolverlo. Analizziamo ogni reclamo che riceviamo. Ne riceviamo molti, è vero. Ma riceviamo - ed è sorprendente, per certi versi - anche molti complimenti. Analizziamo tutti questi elementi e stabiliamo le nostre priorità. Per esempio, negli ultimi sondaggi avevamo notato che la qualità delle stazioni era diminuita. E allora abbiamo istituito un programma per ripulirle e rinnovarle, grandi e piccole. Per quanto riguarda il prezzo, ripeto che le tariffe sono una scelta politica. Vengono stabilite con un contributo dei Cantoni, delle Confederazioni e dei clienti, secondo un determinato equilibrio. Ma quell’equilibrio è una scelta politica. Quest’anno ci è stato detto chiaramente che c’è meno denaro pubblico, e allora è stata aumentata la quota finanziata dai clienti. Ma è così in tutti i Paesi. Il famoso modello tedesco è possibile solo grazie all’investimento pubblico. Se il Canton Ticino volesse abbassare le tariffe dell’Arcobaleno, dovrebbe “solo” aumentare il proprio contributo pubblico. Sono scelte politiche».