Tra guerra e pandemia, la nuova generazione vive «in allerta»

La prova delle sirene di allarme che si è tenuta il primo febbraio. Il blackout che ha colpito Lugano all’inizio di questa settimana. Sono eventi, certo particolari, che vengono vissuti e affrontati dalla maggior parte della popolazione adulta con una scrollata di spalle. Forse stupore, sorpresa. Un po’ fastidio al massimo. Ma per alcuni giovani non sembra essere così: questo genere di situazioni viene associato, sempre più spesso, immediatamente e automaticamente alla guerra. All’ansia e alla paura. Una guerra che si teme possa arrivare fino a qui, nella nostra tranquilla Svizzera.
Le generazioni giovani stanno vivendo con più angoscia rispetto agli “adulti” questa minaccia di una guerra che è, effettivamente, vicina a noi, sia in termini di tempo che di spazio? Per capire un po’ meglio l’ampiezza del fenomeno abbiamo parlato con Cinzia Pusterla-Longoni, psicoterapeuta e psicologa dell’infanzia e dell’adolescenza.
Rassicurazione ed elaborazione
È innegabile che sia avvenuto un cambiamento nella sensibilità dei più giovani da quando è scoppiata la guerra, ci conferma Pusterla-Longoni. «Un anno fa, soprattutto i bambini, hanno segnalato subito una situazione di paura relativamente all’inizio della guerra, oltre alla paura stessa che potesse succedere una guerra anche qui. E hanno sicuramente espresso un bisogno di rassicurazione».
In questa situazione, però, un aiuto forse inaspettato è arrivato dalla presenza dei bimbi ucraini nelle classi ticinesi, come ci spiega la nostra interlocutrice: «È stato un fatto particolare. Proprio la presenza dei bambini ucraini ha, da una parte, avvicinato forse ancora di più i piccoli a questa esperienza della guerra però, al contempo, ha fornito loro anche una buona possibilità di elaborazione». La psicoterapeuta ha infatti notato un cambiamento nell’approccio dei più piccoli davanti a queste tematiche. «Se al momento dello scoppio della guerra, i bambini mi parlavano tanto della paura, ho notato che poi hanno avuto anche tanto bisogno di parlare di questi “nuovi” bambini ucraini arrivati in classe. E lo hanno fatto mostrandosi molto rispettosi, dicevano: “Abbiamo capito che non possiamo fare troppe domande, però ogni tanto parliamo”. E questo credo che in qualche modo abbia aiutato anche i nostri bambini a elaborare un po’ l’esperienza».


Giovani «in allerta»
Quindi, tornando all’approccio verso questa nuova problematica, i più giovani sono più sensibili? Stanno soffrendo di più? «È vero che dopo la pandemia e dopo lo scoppio della guerra in Ucraina è come se, sia i bambini che i ragazzi, vivessero un po’ di più in una situazione di allerta. Adesso le associazioni mentali che vengono fatte dai giovani sono diverse», chiarisce la nostra interlocutrice. Come, ad esempio, collegare un blackout alla minaccia della guerra. «La guerra sì, ma non solo: ci sono anche i suoi derivati, come tutta quella preoccupazione che è stata sollevata quest’estate rispetto alla possibile mancanza di energia, ai tagli, ai diversi scenari che potrebbero accadere». Insomma, una nuvola scura fatta di tante e diverse preoccupazioni. Come ci conferma Pusterla-Longoni: «Non ci sono “solo” la pandemia o la guerra ma c’è anche tutta la preoccupazione ambientale rispetto al futuro della terra, che costituisce un pensiero in più per la nuova generazione. Bambini e ragazzi, quindi, oggi sono più in allerta rispetto al passato perché si sentono più esposti».
Boom di richieste di aiuto
E, non a caso, le richieste di aiuto psicologico da parte di preadolescenti e adolescenti, dal 2020 in avanti, sono praticamente esplose, spiega la psicoterapeuta. E non è la sola a dirlo: «Anche i miei colleghi che lavorano con bambini e adolescenti hanno riscontrato un notevole aumento». Un fenomeno, questo, che è nato con la pandemia e che è andato poi peggiorando con l’arrivo della guerra.


Le radici nella pandemia
La pandemia, tuttavia, – precisa Pusterla-Longoni – è stata tendenzialmente vissuta in due modi differenti da bambini e da adolescenti. I primi meglio. Peggio i secondi.
«La pandemia è stata vissuta in modo migliore dai bambini, sempre ovviamente a dipendenza di che ambiente hanno trovato in famiglia, ma è chiaro che in presenza di una situazione favorevole, i più piccoli l’hanno vissuta relativamente bene». Discorso diverso, invece, per gli adolescenti. Per loro la pandemia è stata «come una frattura». Un qualcosa che improvvisante e bruscamente ha tagliato lo sviluppo delle loro vite, come ci dice la nostra interlocutrice: «Un adolescente è impegnato nella costruzione della propria identità e lo fa sia mettendo una distanza diversa dalla famiglia, che attraverso il grande bisogno di relazione con gli altri ragazzi, con i pari, con il confronto, lo scontro e con il bisogno di essere rispecchiati». E tutto questo è stato interrotto di colpo. «Si è bloccata la scuola, si è bloccata la possibilità di formazione e si è bloccata la possibilità di sognare il futuro. È come se in quel momento gli adolescenti non avessero più sentito la speranza. E se un adolescente non ha la speranza di potersi realizzare e di poter realizzare i propri desideri allora è chiaro che starà male». Questa è la condizione nella quale, purtroppo, si sono ritrovati molti giovani. Giovani che poi non sono più riusciti ad aprirsi una volta che le chiusure e le limitazioni sono finite: «Perché in quel momento – spiega la psicoterapeuta – era entrata in gioco una chiusura di tipo diverso: una chiusura intima. L’isolamento sociale, l’ansia, i tanti sintomi somatici e l’autolesionismo». È stato un momento, per preadolescenti e adolescenti, di frattura nella loro evoluzione, aggiunge.


Senza respiro
La pandemia, con le sue restrizioni, ha lasciato un terreno inaridito sul quale, pochissimo tempo dopo, è andata a sommarsi la guerra con tutte le sue preoccupazioni. Come ci dice Pusterla-Longoni: «Questa guerra è arrivata proprio quando abbiamo cominciato a essere più liberi, immediatamente dopo. Avevamo appena respirato un po’ rispetto alla pandemia ed ecco la guerra. È come se non ci si potesse mai rilassare veramente. Per questo, effettivamente, si è generato un senso di allerta tra i giovani, che sentiamo anche un po’ noi adulti».
Ansie e paure “adulte”
E infatti, come spesso accade, l’influenza sui giovani viene in gran parte dal mondo adulto. «Anche gli adulti quando è scoppiata la guerra hanno avuto paura. Per un momento almeno. Poi certe cose, purtroppo o per fortuna, riusciamo ad allontanarle un po’», spiega la psicoterapeuta. «Quindi, a dipendenza di come gli adulti stessi hanno elaborato la nuova situazione, e di come hanno attuato i meccanismi di protezione, questo ha aiutato o meno i giovani ad affrontarla».
Certo è che per gli adulti, già più formati e irrobustiti di fronte alla vita, è più semplice far fronte a queste sfide: «Noi adulti la strada un po’ ce la siamo già iniziata a costruire. Un ragazzo invece sta cominciando a immaginare il suo futuro, deve sperarci, ma con tutto quello che succede teme di non poterlo realizzare».