Economia

Tra incertezze e opportunità, così i grandi marchi lasciano Mosca

Molte multinazionali hanno già lasciato la Russia - C’è chi lo fa per ragioni di tipo morale e chi a causa delle sanzioni in atto - Ma tra le motivazioni anche il potenziale danno reputazionale nei confronti delle aziende che dovessero decidere di non abbandonare il Paese
Sara Mauri
11.03.2022 06:00

Una corsa, una fuga. Tantissime aziende stanno decidendo di abbandonare la Russia in un vero e proprio esodo collettivo. Si va dalle aziende produttrici di auto a quelle che operano nei servizi, dalle aziende energetiche alle grandi società di consulenza, ai marchi di moda, di elettronica e di beni di consumo. Da un lato si assiste all’abbandono di nuovi progetti, dall’altro a sospensioni temporanee dei servizi. Del resto, questa situazione non si sa quanto durerà, non si hanno certezze per il futuro. E l’incertezza è da sempre un grande deterrente per affari e investimenti.

Molto difficile operare 
Ikea, Volkswagen, Visa, Mastercard, American Express, Lego, Samsung, TikTok, British Petroleum, Shell, Apple, Nike, Volvo e Maersk, Siemens e Spotify. Queste sono solo alcune delle aziende che hanno scelto di sospendere, ridurre, limitare temporaneamente o interrompere i rapporti commerciali in Russia. Impossibile elencarle tutte. Molte aziende scelgono di chiudere i rapporti per ragioni di tipo morale, altre perché, date le sanzioni in atto, la capacità di operare nel Paese è limitata.
E, così, l’invasione russa dell’Ucraina sta cambiando il corso a tre decenni di investimenti esteri in Russia. L’elenco dei marchi globali che scompaiono dai mercati russi continua ad allungarsi.
Le restrizioni finanziarie, il blocco SWIFT, la chiusura degli spazi aerei e le conseguenti difficoltà nei trasporti hanno reso molto difficile operare in Russia.

Una lunga lista 
Ma queste non sono le sole ragioni per gli addii, più o meno temporanei: ci si muove in un contesto di vicinanza con il popolo ucraino, in una sorta di impronta green ribaltata sulla solidarietà. C’è anche da aggiungere un potenziale e ipotetico contraccolpo e/o danno reputazionale: pesa anche il giudizio dei consumatori verso aziende che continuano a operare in Russia, dopo che altre hanno deciso di lasciare.
Ma non solo: in risposta alle sanzioni, ai blocchi, c’è anche l’ipotetico spettro - ventilato e non attuato - di una nazionalizzazione di parti di imprese occidentali che abbandonano il territorio russo. McDonald’s, Coca-Cola e Starbucks si sono aggiunte alle altre aziende che hanno sospeso le attività commerciali. Nike ha deciso di bloccare temporaneamente ogni attività, Adidas ha deciso di sospendere la sua partnership con la Federcalcio russa. Apple ha sospeso la vendita dei suoi prodotti nel Paese, esprimendo vicinanza al popolo ucraino. Shell, l’8 marzo, ha annunciato la decisione di ritirarsi, interrompendo tutti gli acquisti di petrolio greggio russo, chiudendo le stazioni di servizio. Nel comunicato di Shell si legge: «Lavoreremo con i partner e le agenzie umanitarie […] per alleviare le terribili conseguenze che questa guerra sta avendo sul popolo ucraino». Insieme a Shell, anche British Petroleum e Equinor, società energetica norvegese. Il 5 marzo Visa e Mastercard avevano annunciato di voler sospendere le operazioni in Russia; da ieri sono stati bloccati i pagamenti esteri. Anche American Express le ha seguite, insieme a PayPal. Ma anche McDonald’s, Coca-Cola e Starbucks hanno, tutte, annunciato che avrebbero interrotto temporaneamente le operazioni in Russia. Una settimana fa Ikea ha deciso di mettere in pausa la maggior parte dei suoi negozi in Russia (tranne lo shopping centre Mega), di sospendere gli approvvigionamenti in Russia e Bielorussia. Nello statement si legge: «La devastante guerra in Ucraina è una tragedia umana e la nostra più profonda empatia e preoccupazione è per i milioni di persone colpite». Lego ha interrotto le consegne dei giocattoli; Netflix, invece, ha sospeso tutti i progetti e le acquisizioni in Russia. Piattaforme come TikTok hanno tagliato i servizi, preoccupate per la nuova legge russa sulle «notizie false». Le società di rating, Fitch, Moody’s e S&P hanno sospeso le operazioni e declassato le valutazioni della Russia poiché le nuove sanzioni internazionali e le conseguenti misure di protezione hanno aumentato il rischio di insolvenza: per Fitch il rating della Russia passa da B a C, «rischio di default imminente»; Moody’s ha tagliato il rating del debito russo a Ca; S&P ha declassato il rating da BB-plus a CCC- minus. La maggior parte delle grandi case automobilistiche ha interrotto le spedizioni in Russia: da General Motors a Volvo, da Mercedes a Ford, da Volkswagen a Toyota.

Stop anche ai jeans iconici
Si aggiungono le compagnie di spedizione americane FedEx e UPS, oltre alla tedesca DHL. E anche il colosso danese Maersk, la più grande compagnia di trasporto container del mondo. «Le prenotazioni da e verso la Russia saranno temporaneamente sospese, ad eccezione di generi alimentari, forniture mediche e umanitarie», ha specificato Maersk in una nota. H&M ha chiuso temporaneamente i suoi store, seguita da Inditex che ha annunciato la chiusura temporanea dei suoi oltre 500 negozi. Una scelta non da poco, dato che la Russia pesa parecchio sul suo margine operativo. Anche Levi Strauss, i cui jeans erano un ambitissimo oggetto nel mercato nero durante la Guerra fredda, ha sospeso le operazioni commerciali.

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