Il punto

Turchia verso il ballottaggio, e adesso?

La carriera di Recep Tayyip Erdogan, il presidente uscente, passerà da un secondo turno il cui esito appare allo stesso tempo incerto e segnato – Per alcuni, si tratta del leader più influente dai tempi di Atatürk sebbene stia portando la Turchia moderna in direzione opposta rispetto agli ideali del fondatore – Quale sarà il ruolo di Sinan Oğan, terzo classificato a questo giro?
© EPA/Necati Savas
Marcello Pelizzari
15.05.2023 12:00

Se la Turchia, oggi, può definirsi una democrazia lo deve a Mustafa Kemal Atatürk. Già ufficiale dell’esercito ottomano, prezioso e fondamentale in occasione della battaglia di Gallipoli nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, alcuni anni più tardi, nel 1923, fondò la moderna Repubblica di Turchia. Con pochi, ma essenziali concetti, fra cui il secolarismo. Una missione certo complicata, per una società – allora come oggi – fortemente conservatrice e legata all’Islam. Il kemalismo, la corrente politica legata al padre della patria, è stato anche più volte criticato. In particolare, per la completa identificazione fra Stato e persona. E per l’obiettivo, ultimo, di preservare la nazione di fatto a ogni costo.

Lo stesso ruolo e la stessa impronta storica di Atatürk sono oggetto di discussione continua. Nello specifico, per i legami fra il fondatore della Turchia moderna e il genocidio degli armeni. Lo storico e dissidente turco Taner Akçam, il primo studioso del Paese a parlare apertamente di genocidio e, per questo, condannato a 10 anni di carcere nel 1976, spiegò dopo lunghe e attente ricerche come la Repubblica Turca, fondata appunto nel 1923 dal «Padre dei Turchi» (questo significa Atatürk) fosse figlia anche della pulizia etnica. «Per costruire la nuova nazione, Kemal Atatürk si servì proprio degli organizzatori dello sterminio e di chi si era arricchito depredando gli armeni».

Secolarismo e componente conservatrice

Dal 1923 a oggi l’esercito ha rovesciato ben quattro governi che riteneva una minaccia al secolarismo. Facendo crescere, per decenni, non poca frustrazione nella componente conservatrice della società devota all’Islam, fra sentimenti di oppressione e voglia di cambiamento.

Ed è qui che si inserisce la figura di Recep Tayyip Erdogan, mai come a questo giro a rischio sconfitta considerando l’ottimo risultato del suo avversario e leader dell’opposizione, Kemal Kiliçdaroğlu, sebbene molti analisti al riguardo frenino. Il presidente uscente, durante il suo lungo, lunghissimo regno, iniziato nel 2003, ha lentamente ma inesorabilmente eroso le basi e le fondamenta del secolarismo. Avvicinando sempre di più la Turchia a un’autocrazia elettiva e, soprattutto, facendo dell’Islam uno strumento politico. Nel 1999, dopo la sua esperienza come sindaco di Istanbul, Erdogan finì pure in prigione. Il motivo? Minacciò la laicità della Turchia.

Una mossa, quella di puntare sul conservatorismo, che finora gli ha sempre garantito ampie fette di consensi. In particolare lontano dalle grandi città, nel Sud-est. Finora, già, per quanto sia favorito al ballottaggio. 

Plenipotenziario

Primo ministro dal 2003 al 2014, quindi presidente, Erdogan ha reintrodotto una sorta di morale religiosa nel Paese attraverso diverse leggi. Il tutto, evidentemente, accentrando sempre più poteri e promuovendo l’autoritarismo. Per tacere della libertà di stampa, minata a tal punto che fare informazione obiettiva in Turchia è una mezza impresa (eufemismo).

Nel 2016, quando il Paese venne scosso dal tentativo di un colpo di Stato, la reazione di Erdogan fu dura e pesante. Da un lato, promosse vere e proprie purghe per punire chi aveva osato rimuoverlo dall’incarico; dall’altro, fu protagonista di una nuova, drammatica svolta verso l’assolutismo.

Dopo vent’anni, e con i risultati del primo turno di queste presidenziali oramai chiari, la carriera politica del Sultano potrebbe essere a un bivio. Da qualsiasi angolazione uno voglia affrontare la questione, l’eventuale caduta di Erdogan sarebbe eclatante. E questo perché, al netto delle differenze, stiamo parlando del leader turco più potente e influente, nel bene e soprattutto nel male affermano i suoi detrattori, dopo Atatürk.

E adesso?

D’accordo, ma Erdogan perderà o no al secondo turno volendo riformulare una domanda sulla bocca di tutti oramai? Sì, no, forse. O più no che sì, se preferite. Sarà interessante, in questo senso, capire se dalla base storica del Sultano «scapperà» qualche elettore e, ancora, che indicazioni fornirà il terzo classificato al primo turno, Sinan Oğan, ex esponente del nazionalista MHP, in corsa per una coalizione denominata Alleanza Ancestrale. Una coalizione che include il concetto di panturchismo e che, per alcuni aspetti, piace ai conservatori liberali. Erdogan, dal canto suo, abbozza un sorriso: il Parlamento – a quanto sembra – resterà nelle mani del suo partito, l’AKP. Un chiaro segnale di continuità. 

A cento anni dalla fondazione della Turchia moderna, Erdogan insiste sulla retorica. E sull’idea di un nuovo secolo: da una parte gli investimenti nella difesa affinché il Paese non dipenda più (solo) dall’Occidente, a immagine della prima portaerei di fabbricazione turca; dall’altra una continua spinta per allontanarsi proprio dal secolarismo di Atatürk, nel tentativo di fare della Turchia una nazione sempre più conservatrice in termini religiosi. Non a caso, come aveva sottolineato Politico, la sua campagna elettorale è stata caratterizzata da una forte enfasi sui valori della famiglia e da un’aspra critica alla comunità LGBTQ+. Non sorprende, in questo senso, che il Sultano sabato sera abbia concluso la sua campagna elettorale a Santa Sofia, un tempo la più grande chiesa di Costantinopoli, ora riconvertita non senza polemiche da museo a moschea, come era stato in epoca ottomana.

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