Sotto la lente

Un viaggio dove nasce la democrazia

Domani le elezioni in Italia, un'occasione per tornare indietro nel tempo a esplorare le antiche forme della democrazia nelle radici del mondo classico
Irene Solari
24.09.2022 19:00

È ormai il momento dell’appuntamento degli italiani con le urne, previsto domani, 25 settembre. Il voto e le elezioni sono i meccanismi alla base del nostro sistema democratico, lo sappiamo. Ma la loro nascita la si deve all’Antichità, al mondo greco e romano. Quello che viene indicato come la culla della democrazia.

Abbiamo ripercorso le radici della democrazia partendo dal modello greco di Atene, da dove tutto ha avuto inizio. Ci siamo poi spostati a Roma, per terminare con uno sguardo all'attuale senato italiano. E per seguire questo percorso abbiamo parlato con Giancarlo Reggi, professore esperto di Lettere classiche e di Antichità.

Il modello di Atene

La nascita della democrazia viene indicata nella Atene di Pericle, e risale al quinto secolo avanti Cristo. È questo il momento in cui si ritiene che il potere conferito al popolo in materia politica abbia raggiunto il proprio apice. La strada era già stata tracciata prima di Pericle, grazie alle riforme politiche volute da Solone, politico ateniese. Tuttavia il modello per le elezioni dell'epoca era ben lontano da quello che conosciamo oggi. Si basava, infatti, sulle classi economiche in cui era suddivisa la società ateniese di quel tempo. Come ci spiega Reggi: «Bisogna partire dalla costituzione di Solone, che era di fatto una costituzione classista, dato che la società ateniese era stata divisa in quattro classi di censo», categorie introdotte dallo stesso Solone e basate sulle rispettive rendite agrarie. In questo caso, precisa il nostro interlocutore, non si può ancora parlare di democrazia.

Il voto avveniva con due sassolini, uno bianco per il voto a favore e uno nero per quello contrario
Giancarlo Reggi

Il sorteggio dei candidati
Il vero cambiamento avvenne nel quinto secolo, nell'Atene di Pericle, con l'introduzione della tecnica del sorteggio casuale dei candidati al ruolo di arconte, esteso anche alla classe di censo più bassa, quella dei salariati (thetes). L'arconte era una figura importantissima nella città greca: era colui che ricopriva la carica di magistrato supremo e che dava anche il proprio nome all'anno in corso (l'arconte eponimo). Come ci spiega Reggi: «Le cose cambiarono progressivamente quando l’arcontato fu stabilito non più per elezione, ma per sorteggio». Tutti coloro che potevano partecipare alla vita pubblica della Polis potevano essere sorteggiati. Ad Atene si votava nella boulè, un tribunale «e anche un senato deliberativo», un organo composto da 500 membri, cinquanta per circoscrizione territoriale, designati per sorteggio.

Sassolino bianco, sassolino nero
«Il voto avveniva come in tutti i tribunali in un modo un po’ particolare» prosegue Reggi, «si disponeva di due sassolini, uno bianco per esprimere il voto a favore e uno nero per votare contro. Se si trattava un processo, il bianco era il voto di assoluzione. Di condanna quello nero. Per questo il voto nella democrazia ateniese veniva chiamato psephos, la parola che significa sassolino».

Ad Atene si poteva manifestare malcontento verso chi agiva nella cosa pubblica e succedeva, ad esempio, nella rappresentazione delle commedie di teatro

Elezione solo in ambito militare
Nella fase più evoluta della democrazia ateniese non esisteva quindi un’elezione alle cariche pubbliche, tranne un'eccezione in ambito militare, come ci racconta il nostro interlocutore. «L’unica carica pubblica che rimase sempre elettiva fu quella militare della Strategia. Perché, evidentemente, per essere eletti Strateghi bisognava avere competenze di comando militare. Nell’età di Pericle la carica di Stratego era diventata di fatto più importante di quella di arconte. Fu la ragione per cui Pericle rimase Stratego per trent’anni e per quei trent’anni Atene fu la figura dominante».

Partecipare alla vita pubblica 
Se pensiamo che il primo sistema democratico istituito fosse «aperto a tutti» come il nostro, ci stiamo però sbagliando. La democrazia ateniese, pur rappresentando un'espressione politica molto evoluta, era ancora distante dalla nostra: escludeva di fatto chiunque non fosse un cittadino maschio, nato libero e figlio di genitori entrambi ateniesi. Solo a questi ultimi erano permessi voto e cariche. Le donne, gli schiavi e gli stranieri residenti ad Atene ("meteci") ne erano tagliati fuori, non si potevano esprimere e non avevano nessun diritto alla vita politica.

La democrazia ateniese escludeva chiunque non fosse un cittadino maschio, ateniese e nato libero. Le donne e gli schiavi non avevano nessun diritto alla vita politica

Il sistema ateniese anteriore all'età di Pericle, come detto, seguiva i dettami del censo. Avvantaggiava chi era più ricco, a discapito dei meno abbienti. Ma Atene seguiva un altro tipo di logica rispetto al nostro sistema: il patrimonio di cui si doveva disporre per partecipare alla vita pubblica era una "garanzia" che il candidato fosse in grado di contribuire (anche economicamente) al bene della città. Si dovevano pagare le imposte e partecipare alla vita militare, cosa che sottintendeva la necessità di comprare armi ed equipaggiamenti. Quindi, solo chi effettivamente aveva la disponibilità economica poteva partecipare alla vita politica della città e garantire anche un buon operato.

Isonomia e parresia
Sono due termini greci, a prima vista complessi, che indicano altrettanti pincìpi e pilastri della democrazia ateniese e che ritroviamo anche al giorno d’oggi. Isonomia significa che tutti devono osservare la legge allo stesso modo. Il concetto si avvicina al nostro «La legge è uguale per tutti», in sostanza. Parrhesia, invece, indica il diritto (ma anche il dovere) di dire la verità. E di esprimere liberamente il proprio pensiero. Quello che oggi si potrebbe tradurre con la libertà di parola. Ad Atene in questa categoria rientravano anche le critiche – pure quelle feroci – mosse al mondo politico: era un diritto quello di manifestare malcontento verso chi agiva nella cosa pubblica. Questo valeva nelle assemblee ma anche nelle rappresentazioni del teatro comico.

Per partecipare alla politica si doveva disporre di un buon patrimonio, necessario a garantire che il candidato potesse contribuire al bene della città

Agire se ci si è informati
Nell’antica Grecia questo diritto era considerato inviolabile: l’atto del parlare e del confrontarsi anche su temi politici era sacro, la ponderazione e partecipazione su dubbi della vita pubblica era un vero e proprio dovere. Tucidide, infatti, spiega che l'aspetto dannoso nella vita pubblica era il non essere informati prima di agire. Importantissimo, quindi, per l’epoca essere informati sui fatti prima di passare all'azione in campo politico.

La democrazia a Roma

Avvicinandoci all'Italia, il professor Reggi ci ha dato anche qualche spiegazione su come si organizzava la democrazia nell’antica Roma. Gli storici ci dicono che si può far coincidere la nascita della democrazia nell'Urbe con il momento il cui si passò dalla monarchia alla repubblica: alla fine del sesto secolo avanti Cristo. Anche se, precisa Reggi, il modello su cui si organizzava il sistema elettorale era calcato pari pari su un ordinamento militare già esistente: si votava seguendo il sistema della centurie. «Anche qui, come nell’ordinamento ateniese di Solone, c’erano classi di censo: erano sei. Queste stabilivano diritti e doveri proporzionati», ci spiega Reggi.

Se gli abbienti erano tutti d'accordo, la votazione era fatta
Giancarlo Reggi

Un sistema per i ricchi
A votare per le elezioni a Roma erano quindi le centurie, composte esclusivamente da cittadini romani dell’Urbe o del Suburbio (la zona alle porte della città e circostante): «Sostanzialmente votavano i romani e, anche in questo caso, per potersi permettere l’elezione bisognava essere molto ricchi. E chi non lo era? Meglio che lasciasse perdere, anzi, lasciava proprio perdere, lo sappiamo dagli scritti di Cicerone». All'inizio dell'età repubblicana per far parte della prima classe di censo, continua il nostro interlocutore, bisognava avere un patrimonio di 25.000 sesterzi, «molto alto per l'epoca». Le classi successive disponevano di un numero molto più limitato di centurie. Il reddito calava mano a mano che diminuivano le centurie. «In pratica, nel sistema romano, votavano sempre per prime le classi più alte, una volta che si era raggiunta la maggioranza sicura delle centurie ci si fermava». Andava così, e le classi inferiori praticamente non erano mai chiamate a esprimere la propria opinione. Un sistema di voto che privilegiava ancora una volta le classi più ricche, conferma Reggi: «Non c'è dubbio, se gli abbienti erano tutti d’accordo, era fatta».

Una piccola curiosità prima di passare al resto. Il nostro temine "candidato" deriva proprio da un'usanza del mondo romano, dove coloro che erano in lizza per una carica politica si vestivano con una toga bianca, candida, appunto. Da qui l'abitudine di chiamarli "candidati", coloro che indossano il vestito bianco.

Il senato romano
Nella Roma di età repubblicana c'erano tre organi dello Stato che si spartivano tra loro l’autorità. «Il potere legislativo di fatto era esercitato dai comizi centuriati, che votavano sempre con il sistema usato per le elezioni. Ne siamo informati perché se ne parla nelle orazioni di Cicerone». C’era poi il potere esecutivo, «nelle mani dei consoli e dei pretori. Potere esecutivo voleva dire, in sostanza, soprattutto comandi militari». E, infine, c’era il senato. «Un organo deliberativo» composto dagli ex consoli e dai magistrati usciti di carica. In sostanza, tutte le decisioni passavano attraverso il senato, ci spiega Reggi, «anche quelle relative alle leggi. E i consoli prima di compiere un’operazione importante consultavano il senato».
In un organo come il senato romano si entrava di diritto: «Diventavano senatori coloro che avevano rivestito almeno la carica di Questore. Poi c’erano gli ex consoli che naturalmente erano i più ascoltati perché conoscevano molte situazioni politiche per via dell'esperienza fatta».

Il senato italiano
L'attuale senato della repubblica italiana è una cosa un po' diversa rispetto a quanto visto finora, come ci spiega Reggi. «Il senato italiano deriva dal senato dello statuto albertino, cioè dalla costituzione italiana al tempo della monarchia e, prima ancora, del Regno di Sardegna. Quando fu unificata l’Italia, questo sistema fu esteso a tutto il Regno d’Italia. E il senato era un insieme di persone nominate a vita direttamente dal re. Simile alla Camera dei Lords britannica».
In seguito, dopo la seconda guerra mondiale, l'Italia passò al sistema repubblicano, «in un primo momento si pensò a creare una sola Camera, quella dei deputati, ma poi ci fu la proposta di conservare il Senato. Naturalmente cambiando le fondamenta: il Senato divenne elettivo». Anche se rimasero alcuni senatori nominati dal presidente della Repubblica, i senatori a vita. In realtà, ci spiega Reggi, c'è ben poco che accomuni i due tipi di istituzione: «Non c’è nessuna relazione vera tra il senato romano e il senato italiano come si presenta oggi». Fatta eccezione per due punti che invece le avvicinano. «Il presidente della Repubblica uscito di carica è senatore di diritto e a vita, questo ricalca il sistema del senato romano». «E, guarda caso, quando il presidente deve dare l’incarico per la formazione di un nuovo Governo, per prassi formale, consulta per primi gli ex presidenti della Repubblica».

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