L’editoriale

Una brutta storia che si poteva evitare

Norman Gobbi ha innescato da solo la valanga che lo ha travolto: la sua popolarità agli occhi del comune cittadino non può certo ritenersi rilanciata
Gianni Righinetti
16.10.2025 06:00

Una serata novembrina del 2023 che nessuno dei protagonisti avrebbe mai potuto immaginare più sfortunata, ma dare tutta la colpa al «caso» sarebbe una forzatura, finanche una strumentalizzazione. Lungo l’autostrada A2 in zona Stalvedro transitava un cittadino tedesco, ignaro che l’auto che aveva urtato era quella del responsabile politico della Giustizia e della Polizia ticinesi. Mentre tutte le persone coinvolte a vario titolo nella sequenza di approssimazioni e leggerezze successive sapevano molto bene quale era, o doveva essere, il loro ruolo.

A partire da Norman Gobbi che ha peccato da subito di superficialità e arroganza, non per forza con i poliziotti, ma nel tenere secretata alla cittadinanza una vicenda che sapeva, o doveva sapere, avrebbe meritato trasparenza massima. Da subito. Dalla mattina successiva. La notte, corta e di certo non serena dopo essere stato tamponato ed essere cosciente di avere nel sangue «un bicchiere di troppo», non ha portato consiglio, ma solo un ambiguo silenzio e un equilibrismo semantico nel negare senza dirlo troppo forte, o esprimendosi con astuzia, speculando che «prima o poi i curiosi si sarebbero stancati di indagare e telefonare». Speculare è sempre pericoloso. E la sua speculazione ha ingigantito il comportamento degli agenti, non irreprensibile ma condito da diverse attenuanti di natura tecnica (etilometri con calibrazione scaduta) e, finanche incoscientemente, di natura umana, perché per i due agenti trovarsi Gobbi in carne e ossa quella notte non era qualcosa di prevedibile e facilmente gestibile.

Intanto la sentenza di primo grado, in attesa che il procuratore generale Andrea Pagani decida se ricorrere in appello o meno, rende giustizia ai due agenti. Ed è rallegrante dal profilo umano per due uomini che sono parsi sinceri e trasparenti anche nel corso del processo, nel dichiarare che quella sera, quella maledetta sera, l’ipotesi di un comunicato stampa era stata ventilata, poi la cosa si è persa nella nebbia novembrina. Trasparenti anche nel manifestare vergogna per quegli etilometri con la calibrazione scaduta. Fatto noto, segnalato, ma ignorato per alcuni mesi da chi nel corpo di polizia avrebbe dovuto porre rimedio. La polizia ne esce in parte ridicolizzata, ma possiamo solo immaginare i mesi che hanno trascorso i due uomini, finiti sulla graticola per qualcosa che non avevano dominato. La serenità perduta nessuno potrà mai restituirla a quegli uomini e neppure l’assoluzione, certamente accolta con sollievo, li ripaga di tutto quanto hanno vissuto. Insomma, chi non ha voluto rendere pubblico il tutto dall’inizio ha generato la valanga politica e successivamente mediatica.

Con un atteggiamento trasparente non ci sarebbero stati gli atti parlamentari (tuttora inevasi) e con la chiamata del procuratore pubblico di picchetto quella sera deprecabile sarebbe diventata una questione amministrativa da chiarire sì, ma senza tutto questo trasporto emotivo. Norman Gobbi ha innescato da solo la valanga che lo ha travolto. Certo, non lo si vuole chiamare «caso Gobbi», ma politicamente lo è. Dell’assoluzione beneficia anche il ministro attualmente «depolizizzato», ma c’è poco da gioire come fatto in ambienti leghisti nei quali ieri sera è arrivata la sentenza: scene di giubilo come se si fosse vinta la Champions League. E dire che la Lega, preventivamente, si era data la consegna del silenzio. Ma questa, evidentemente, valeva solo in caso di condanna dei due. Spiace dirlo, non ha vinto proprio nessuno, sono stati scagionati due uomini. Gobbi non ne esce bene, la sua popolarità agli occhi del comune cittadino non può certo ritenersi rilanciata. Anzi, l’esatto contrario. La pressione politica forse si allevierà un poco, ma anche questa è una speculazione, perché molte sono le questioni sulle quali si può fare pressione sulla Polizia e la richiesta di audit spuntata negli scorsi giorni ci dice che siamo solo all’inizio.

La Polizia è nel mirino e a renderla vulnerabile sono la faciloneria e l’approssimazione che abbiamo sotto gli occhi. Gli arieti di PLR e Centro, Natalia Ferrara e Fiorenzo Dadò, hanno lasciato intendere che altre sono le questioni che bollono in pentola sul corpo diretto da Matteo Cocchi. A proposito, e il comandante che fine ha fatto? Anche questo è un tema che andrà chiarito. Stagione politica davvero complicata quella che ci attende e chi pensa che l’assoluzione di ieri calmerà tutti rendendoli pacifici come agnellini, si sbaglia di grosso e i primi di cui diffidare (sempre) sono quei politici che, ad ogni piè sospinto, s’indignano e s’inalberano, chiedendo di smetterla perché «è ora di occuparsi dei veri problemi dei cittadini». Statene certi, sarà una costante da qui alle elezioni del 2027. Perché chi predica bene, razzola male. E a proposito di quell’appuntamento elettorale, abbiamo almeno una curiosità: oggi Claudio Zali tiene le redini della Polizia al posto di Norman Gobbi. Chi si giocherà le Istituzioni alla prossima tornata elettorale?

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