L'editoriale

Valorosi occhi sul campo di guerra

«La prima vittima della guerra è la verità»: un aforisma coniato 2.500 anni fa da Eschilo e ancora drammaticamente valido e attuale
Paride Pelli
10.03.2022 06:00

«La prima vittima della guerra è la verità»: un aforisma coniato 2.500 anni fa da Eschilo e ancora drammaticamente valido e attuale, come possiamo constatare dalle cronache dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ancora prima che scoppiasse il conflitto, infatti, i media e tutti noi occidentali eravamo già sommersi da notizie fasulle, mezze verità e mezze bugie create da disinformatori professionisti. La situazione, negli ultimi giorni, è perfino peggiorata a seguito di un inasprimento della libertà d’espressione in Russia, dove social network e siti web di numerose testate indipendenti sono stati oscurati. Non solo: diversi media del Paese hanno comunicato che chiuderanno a causa della censura attuata dalle autorità nei confronti di chi non rispetta la versione governativa sull’invasione. Una mossa, quella del Cremlino, che non deve sorprendere: ogni regime è contrario alle critiche, e si chiama regime proprio perché, anziché tollerarle, le elimina o cerca di farlo. Tale pratica – già utilizzata con discrezione nei periodi di pace – si ingigantisce in tempo di guerra, dove la pressione censoria a tutti i livelli cresce a dismisura, così come l’attenzione dei media del mondo libero che cercano notizie veritiere. Da questo punto di vista il contesto informativo russo – per chi non è allineato alle posizioni del Governo – è altamente problematico, tanto che diverse testate straniere hanno interrotto la copertura dalla Russia sui fatti ucraini. Tra loro, anche le emittenti svizzere SRF, RSI e RTS.

La decisione non è politica, o non soltanto, ma è stata presa tenendo presente la libertà di circolazione e di espressione degli stessi inviati nella Federazione russa e sul territorio ucraino conteso, e addirittura la loro incolumità. La scorsa settimana un reporter elvetico è stato ferito da soldati russi nonostante l’auto sulla quale viaggiava portasse in evidenza la dicitura «Presse»: gli sono stati sequestrati passaporto, laptop e macchina fotografica, le tre cose più preziose per ogni giornalista al fronte. La vicenda – insieme ad altri tentativi di depotenziare il giornalismo indipendente attraverso una disinformazione e una propaganda portate all’estremo – è un segnale che sarà sempre più difficile informare i lettori sull’escalation bellica attraverso fonti non subordinate ai due eserciti. Non bastasse, Vladimir Putin ha ratificato lo scorso venerdì un pacchetto di leggi, precedentemente approvate dalla Duma, che limitano ulteriormente la libertà di espressione: sono previsti fino a 15 anni di prigione per chi diffonde fake news sulle Forze armate e per chi usa determinate parole (come «guerra») in relazione all’invasione russa dell’Ucraina. Questo ulteriore giro di vite ha messo in allerta anche il nostro Dipartimento federale degli affari esteri, che ha espresso preoccupazione per le pressioni subite dai giornalisti stranieri e locali in Ucraina e ha chiesto a tutti il rispetto del diritto internazionale umanitario.

Parole sacrosante: i giornalisti, infatti, di qualsiasi nazionalità siano, devono sentire che il loro lavoro sul fronte ucraino è indispensabile e degno di stima e protezione: è soltanto attraverso i loro occhi che, oggi, i cittadini di ogni Paese del mondo riescono ad avere il polso della situazione riguardo un conflitto che sta influenzando, ogni giorno sempre di più, la vita di tutti noi. Ecco perché continuare a raccontare quanto accade attraverso un’ostinata presenza sul campo è imprescindibile, e a tutte le latitudini. La libertà di parola e di stampa, l’informazione di qualità che ne deriva, non sono orpelli da accantonare a seconda del momento, ma strumenti indispensabili per decidere ciascuno della propria vita, gli individui come le nazioni. Speriamo che un giorno accadrà anche in Russia, magari in una nuova Russia.

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