Vitali Klitschko, il sindaco che vuole mettere kappaò Mosca
L’Ucraina resta in piedi. Resiste. A fatica, in mezzo a bombe e devastazione. Resiste con orgoglio, dignità, forza. Resiste, banalmente, perché i suoi uomini più profilati non temono l’invasore russo. Anzi, lo affrontano con ogni mezzo. Con il fucile, ad immagine dell’ex presidente Petro Poroshenko. Attraverso i social, come il presidente attuale Volodymyr Zelensky. Un totem cui cerca di aggrapparsi, disperato, un intero popolo. Attraverso i social ma anche fra i combattenti, pure lui armato: sì, stiamo parlando di Vitali Klitschko. Il sindaco di Kiev.
Quella promessa alla madre
Questo omaccione di oltre due metri, nato in Kirghizistan, combatte da sempre. Di più, non è mai andato al tappeto. Figlio di un maggiore generale delle forze aeree sovietiche, pugile dal 1996 al 2013, Klitschko è considerato tra i migliori pesi massimi della storia. Perché la storia, beh, l’ha fatta davvero: 45 vittorie su 47 incontri, di cui 41 per kappaò, titoli mondiali WBO, WBC e The Ring.
La vita, leggiamo, non è mai stata gentile con lui. Suo padre, chiamato a decontaminare l’area di Chernobyl dopo il disastro del 1986, come tanti si ammalò di cancro. Vitali avrebbe gradito una carriera lassù, nei cieli, a pilotare i caccia. Ma quando pesi 110 chili e, come detto, superi i due metri di altezza, lo spazio ai comandi è davvero troppo angusto. Meglio la boxe, come il fratello Volodymyr o Wladimir, a seconda delle traslitterazioni. Assieme, hanno steso (quasi) ogni avversario. Evitando, coscientemente, di affrontarsi fra loro. Perché glielo aveva chiesto la madre.
Vitali, con il passare degli anni e delle vittorie, si è guadagnato il soprannome di Dr. Ironfist. Dottor Pugno di Ferro. Come fosse un supereroe. E per certi versi lo è. Il soprannome non è casuale: Klitschko, infatti, ha un dottorato in scienze dello sport.

L’eroe di Maidan
Popolare, anzi popolarissimo, come tanti altri sportivi Klitschko ha ceduto ai corteggiamenti della politica. Mancando, tuttavia, a due riprese l’elezione a sindaco di Kiev. Nel 2012, finalmente, si è guadagnato l’ingresso in Parlamento con il suo partito, UDAR. Addio ai mutandoni da boxeur e benvenuto completo, con tanto di cravatta. All’epoca le discussioni erano molto accese e sovente i deputati venivano alle mani. Nessuno, ovviamente, osava disturbare Klitschko. Comprensibile.
Il nome e la figura di Klitschko, oggi sulla bocca e gli smartphone di tutti, anche lontano dall’Ucraina, non sono una novità. Nel 2013, di fatto all’inizio della lunga crisi trascinatasi fino alla guerra odierna, l’ex pugile aveva abbracciato la protesta di piazza contro il presidente filorusso Yanukovych. Diventando, allora come oggi, una figura di riferimento. Un esempio. Mentre le autorità cercavano di reprimere il sentimento popolare, Vitali era lì. A piazza Maidan. Nel centro di Kiev, la sua Kiev. Imponente, duro, ma allo stesso tempo rassicurante. Perché, proprio come in Parlamento, ai pugni e alla violenza ha preferito il dialogo. Le parole. Diventando un baluardo contro le forze dell’ordine. E conquistando, di riflesso, i favori del popolo.
Caduto Yanukovych, l’ex pugile è stato perfino sfiorato dall’idea di assumere la carica di presidente. Tuttavia, secondo gli analisti il suo programma era troppo vago. Lotta alla corruzione, avvicinamento all’Unione Europea, liberalismo. Senza entrare nei dettagli. Così, ha preferito ripiegare sul sostegno al miliardario Petro Poroshenko. Lo suggerivano tanto il buonsenso quanto i sondaggi, che vedevano proprio Poroshenko quale candidato ideale. Nel 2014, almeno, Klitschko si è preso Kiev. Sindaco, già. Finalmente.
«Non abbiamo scelto la guerra»
Klitschko, come suo fratello e come Zelensky, non è scappato. È rimasto. Per difendere l’Ucraina. E, nello specifico, i cittadini di Kiev. Il presidente, complice la sua vena attoriale, ha alternato video drammatici a momenti più ironici. Vitali, invece, ha mostrato i segni della lotta. Tutti quanti. Tutti assieme. La voce profonda. Gli occhi quasi chiusi, complice la stanchezza. Lo sdegno, anche. Sui social, sta postando a ritmi impressionanti. Come un alternarsi fra destro e sinistro. Come quando saliva sul ring e prendeva a pugni l’avversario. Informa la popolazione, riscalda gli animi dei soldati ucraini, chiede alla comunità internazionale di intervenire. «Ora, adesso, non domani» recita in uno dei suoi post più celebri. Quando non è in video, beh, indossa il giubbotto antiproiettile e imbraccia il fucile. Perché c’è una guerra e ognuno deve dare il suo contributo. Chiamatela mentalità.
Prima della guerra, al Guardian, aveva confidato: «È più facile essere campione mondiale dei pesi massimi che sindaco di Kiev». Si riferiva al ring della politica. Che non perdona, perché «non ci sono regole, ti colpiscono sulla schiena o sotto la cintura». Ma lui, ribadiamo, non è mai andato al tappeto in carriera. Non lo ha fatto nemmeno come sindaco, guadagnandosi due rielezioni.
Ora, da buon picchiatore, sta lavorando sulla guardia. È uno stile che offre una protezione supplementare e, soprattutto, consente ogni tipo di attacco. «Questa è una guerra sanguinosa» ha affermato poche ore dopo l’invasione. Una guerra che l’Ucraina non ha scelto, ma che Klitschko ha deciso di combattere. Questo, almeno, è ciò che sta facendo l’uomo, il pugile, il sindaco.