A proposito del vescovo e della sua successione

Devo confessare che mi sto divertendo, come non mai, nel leggere i vari articoli e i numerosi blog nei quali si parla delle dimissioni di mons. Valerio Lazzeri e del futuro della diocesi di Lugano. Sono interpretazioni, per fortuna, del tutto personali e, forse, non sempre improntate da onestà intellettuale. Tutti (o i soliti?) calano dall’alto giudizi, commenti, soluzioni che nella maggior parte dei casi fanno sorridere o nel peggiore dei casi fanno scrollare la testa. Ma ognuno è libero di esprimere la propria opinione. Alcuni però lasciano molto perplessi. Mi riferisco in modo particolare alle interviste rilasciate dal prof. Krienke (si spera a titolo personale e non come docente della Facoltà di Teologia di Lugano). Soprattutto l’ultima del 14 ottobre apparsa sulle pagine del Corriere del Ticino suscita qualche interrogativo perché già nel titolo si insinua che nelle motivazioni presentate alla stampa lunedì scorso da mons. Lazzeri per le sue dimissioni «mancasse qualcosa». Davanti ad una tale affermazione si resta sconcertati. Che prove ha il prof. Krienke per affermarlo? Mons. Lazzeri ha spiegato con sufficiente chiarezza e umiltà quanto ha vissuto personalmente negli ultimi due anni. E su questo non ritengo di dover aggiungere altro. Resta, come storico, l’interrogativo circa l’affermazione che si legge nell’intervista (affermazione di Krienke o del redattore?) che «sappiamo quanto papa Francesco sia propenso a rompere certe regole che ci sono soltanto perché esistono da sempre». Da sempre? Che significa? La norma che il vescovo di Lugano venga scelto dal numero di coloro che sono «ressortissants tessinois» è datata dal 1888 e confermata nella convenzione fra il Consiglio federale e la Santa Sede del 24 luglio 1968. Se si studiasse la storia ticinese con serietà, si verrebbe a sapere che questa norma che, forse, oggi desta qualche perplessità era già stata oggetto di discussione a livello «diplomatico» e non «giornalistico» nel 1916. Il 14 giugno di quell’anno il cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri scriveva all’Incaricato d’Affari a Berna mons. Francesco Marchetti-Selvaggiani che «per ciò che riguarda la scelta del successore [di mons. Peri-Morosini], la S. Sede incontra una grave difficoltà nella clausola contenuta nell’art. 2o della Convenzione del 16 Marzo 1888 col Governo Federale, secondo la quale l’Amministratore Apostolico di Lugano (nominato dalla S. Sede d’intesa col Vescovo diocesano) “sera choisiparmi les pretres ressortissants tessinois”. Tale clausola infatti limita la scelta ad un numero ben ristretto di ecclesiastici, fra i quali attualmente (come accadrà pure senza dubbio in molti altri casi nell’avvenire) riesce impossibile alla Santa Sede di trovare un soggetto idoneo all’alto ufficio. La interesso quindi di adoperarsi presso il Sig. Motta, affine di ottenere che la clausola in parola venga opportunamente modificata, ad es. nel senso che l’Amministratore Apostolico di Lugano debba scegliersi in generale tra gli ecclesiastici della Svizzera e non soltanto fra quelli del Canton Ticino».
Giuseppe Motta, il 16 giugno, rispondeva al rappresentante della S. Sede: «Io ho sempre pensato che quella disposizione è poco felice. Il Ticino è troppo piccolo per poter esser in grado di fornire sempre sacerdoti qualificati per assurgere alla dignità vescovile. Inoltre io ho sempre riputato che la Santa Sede dovrebbe avere mano pienamente libera nella designazione dei vescovi. […] Le condizioni presenti hanno dato a le questioni di lingua e stirpe una tale importanza e un tale rilievo da noi, che io mi tengo certo che le autorità ticinesi, interrogate e consultate, come di dovere e convenienza, si opporrebbero con energia ad ogni atto che potesse aver l’apparenza di una menomazione della italianità del Ticino. Non escludo che, mutati i tempi e le circostanze, la questione possa venire utilmente ripresa in esame».
L’argomento, quindi, è sul tavolo di discussione da vari decenni. È una discussione che non può essere liquidata, come è stato fatto nell’articolo, attribuendo al Papa la propensione «a rompere certe regole». Ci sono in gioco aspetti diplomatici a livello internazionale, federale, cantonale e ecclesiastico. Cosa poi si è voluto dire con la frase «Lugano ha una certa vicinanza con il Vaticano» è tutto da chiarire. Il Ticino, come tutte le diocesi svizzere, ha come riferimento sicuro la Nunziatura Apostolica a Berna. Che poi «se ne parli e che ci sia interesse (di cosa?) significa che la Chiesa non è qualcosa che non interessa più alla società» è opinabile. In questa fase sono più le curiosità e i pettegolezzi che occupano la piazza mediatica. L’interesse e l’amore per la Chiesa ticinese sono tutt’altra cosa. L’amore per la Chiesa lo si dimostra testimoniando la propria fede, impegnandosi perché le comunità cristiane, che sono quasi allo sfinimento, riprendano fiato con il contributo di tutti i battezzati.