L'editoriale

Ankara, la difficile via verso la democrazia

Domenica prossima i turchi sono chiamati alle urne per le elezioni presidenziali e per quelle legislative, un appuntamento importantissimo e allo stesso tempo ricco di incognite, in quanto in gioco non vi è solo il futuro di un Paese di oltre 80 milioni di abitanti, ma anche i rapporti tra Ankara e il mondo occidentale
Osvaldo Migotto
11.05.2023 06:00

Domenica prossima i turchi sono chiamati alle urne per le elezioni presidenziali e per quelle legislative. Si tratta di un appuntamento importantissimo e allo stesso tempo ricco di incognite, in quanto in gioco non vi è solo il futuro di un Paese di oltre 80 milioni di abitanti, ma anche i rapporti tra Ankara e il mondo occidentale. In effetti il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, al potere da vent’anni, dapprima come premier e poi, dal 2014, come presidente, negli ultimi anni ha fatto scivolare il suo regime verso l’autoritarismo e ha intrecciato relazioni sempre più strette con Cina e Russia, raffreddando di conseguenza i rapporti con UE e USA. Una sorta di vendetta nei confronti del Club di Bruxelles che ha di fatto tenuto chiuse le porte dell’UE di fronte alle richieste di adesione avanzata in passato da Ankara.

Una diffidenza nei confronti della Turchia che in passato diversi politici europei avevano giustificato con motivi di ordine politico e culturale. Il corso della storia ha poi dimostrato che tale diffidenza non era campata in aria. Oggi il grande Paese a cavallo tra Europa e Asia è guidato da un «sultano» che non solo ha imposto una crescente islamizzazione della società turca, ma ha minato i pilastri della democrazia. La preoccupante svolta è iniziata dopo il tentato colpo di Stato del 2016, preso a pretesto da Erdogan per giustificare un’ondata senza precedenti di arresti e licenziamenti nel settore pubblico e in quello dell’informazione. Per non parlare delle epurazioni nell’esercito e nel sistema giudiziario e del giro di vite sulla libertà di stampa e di espressione.

Domenica la parola torna al popolo turco, ma non saranno elezioni al di sopra di ogni sospetto. Non vi è stata solo la forte censura su ogni tipo di media ad aver reso queste votazioni non rispettose di tutti i crismi democratici, ma anche le manovre messe in campo dal regime per ostacolare l’opposizione o per imbonirsi l’elettorato. Va ad esempio ricordato che lo scorso aprile, in un’operazione di polizia condotta in 21 province contro il PKK e l’organizzazione affiliata del KCK, erano finite in manette 110 persone. Le autorità turche avevano definito l’intervento «un’azione antiterrorismo», ma va notato che tra gli arrestati figuravano anche dirigenti del partito filo-curdo HDP. L’HDP è il secondo partito di opposizione più rappresentato in Parlamento e da tempo è nel mirino del Governo che lo ritiene un’estensione del PKK e per questo motivo ne chiede la chiusura. Accuse reali o lanciate solo per neutralizzare un partito in grado di raccogliere molti consensi?

In questo momento l’unica cosa a cui il «sultano» mira è la sua rielezione. Potrà anche apparire sfacciato, ma con un Paese messo in ginocchio dalla pandemia e da politiche economiche e monetarie sbagliate che hanno fatto schizzare a livelli preoccupanti inflazione e disoccupazione, Erdogan non si è fatto problemi ad annunciare martedì scorso che il salario minimo per i lavoratori impiegati nel settore pubblico verrà aumentato del 45%. Secondo la stampa locale il provvedimento riguarderà 700 mila lavoratori. Il loro voto potrebbe fare la differenza, considerato che gli ultimi sondaggi danno uno scarto minimo tra il candidato dell’opposizione, l’economista Kamal Kilicdaroglu del Partito popolare repubblicano (CHP), che raggruppa attorno a sé una coalizione di sei partiti, e il presidente uscente.

A ogni modo va sottolineato che anche se alla fine l’uomo forte di Ankara non riuscisse a essere riconfermato alla guida del Paese, il suo AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e i suoi alleati manterranno la maggioranza in Parlamento, rendendo la vita difficile a Kilicdaroglu e a tutti coloro che vorrebbero riportare la Turchia verso una reale democrazia.