L'editoriale

Armi a Kiev, tira aria di missione impossibile

Il Parlamento ha detto due volte no a un allentamento della Legge sul materiale bellico, che avrebbe aperto una breccia per la riesportazione di armi verso l’Ucraina
Giovanni Galli
10.03.2023 06:00

Il Parlamento ha detto due volte no a un allentamento della Legge sul materiale bellico, che avrebbe aperto una breccia per la riesportazione di armi verso l’Ucraina. Dapprima i «senatori» hanno respinto una mozione del presidente del PLR Thierry Burkart, per autorizzare la riesportazione da parte dei Paesi che condividono i valori svizzeri. E poi il Nazionale ha bocciato la proposta del PS di consentire al Consiglio federale di dare via libera alla rivendita di materiale a un Paese in guerra se l’Assemblea generale dell’ONU, con una maggioranza di due terzi, constata una violazione del divieto dell’uso della forza. Anche il Consiglio federale si è opposto, dicendo che un’eventuale autorizzazione alla riesportazione di materiale bellico solo verso l’Ucraina violerebbe il principio della parità di trattamento derivante dal diritto della neutralità. Formalmente, il discorso non è chiuso, perché in Parlamento sono ancora pendenti proposte di allentamento della legge e nessuno, fra chi vuole una svolta, ha alzato bandiera bianca. Ma vista la malaparata, e soprattutto la piega assunta dal dibattito, viene da chiedersi se sarà ancora possibile raggiungere un’intesa solida, in grado di ottenere una maggioranza. La prognosi è sfavorevole, per diverse ragioni. La bocciatura delle due proposte (della mozione socialista è passata solo la parte relativa al Consiglio di sicurezza dell’ONU, del tutto irrealistica nel caso della guerra in corso) non sorprende più di tanto. Si sapeva sin dall’inizio che non avrebbero avuto vita facile, anche per il cumulo delle opposizioni di segno opposto. A colpire è piuttosto il modo in cui sono state affossate. Agli Stati, tutti i socialisti hanno votato in blocco contro la mozione Burkart. L’avversario più agguerrito del presidente del PLR non è stata l’UDC ma il «senatore» del PS Daniel Jositsch, con un appassionato intervento in difesa di un’interpretazione tradizionale della neutralità, benché in certi casi questa possa avere aspetti spiacevoli. Un’arringa basata su un discorso storico e di principio che non ammette flessioni e che di fatto chiude gli spazi ad eventuali altri tentativi di cambiamento. Al Nazionale, viceversa, è stato il PLR a far pendere l’ago della bilancia contro la mozione socialista,invocando il rispetto del diritto della neutralità. L’accordo raggiunto inizialmente fra i due partiti è naufragato, proiettando un’ombra su un secondo compromesso raggiunto in commissione, una sorta di allentamento «light», che abbina la proposta del PLR (il divieto di riesportazione verso i Paesi amici decadrebbe dopo cinque anni) a quella socialista sulla risoluzione dell’ONU. Il PLR si è detto possibilista per una soluzione migliore, mentre il PS ha detto che l’intesa è «decisamente in pericolo».

Le idee su cui lavorare ci sarebbero, ma mancano le maggioranze per portarle avanti e superare le opposizioni, che gravitano attorno a un blocco composto da UDC e Verdi. Un passo avanti non può prescindere da un accordo fra PLR, PS e Centro. Gli ultimi due però sono divisi al loro interno. Il presidente del Centro Gerhard Pfister, che sin dall’inizio del conflitto ha assunto una posizione chiaramente pro ucraina, deve remare contro una parte dei suoi rappresentanti agli Stati, dove l’urana Heidi Z’Graggen ha già detto che respingerà qualsiasi proposta che metta in discussione la neutralità. Insomma, tira aria di missione impossibile. La guerra continua a tracciare un solco profondo nel mondo politico svizzero, fra chi, Governo in testa, chiude a un possibile sostegno militare indiretto a Kiev (puntando su altre forme d’aiuto) e preferisce attenersi a prassi consolidate, e chi invece invoca una svolta nell’interpretazione della neutralità, ritenendo che per garantire la sua sicurezza la Svizzera abbia interesse a che l’Ucraina non perda la guerra. Sono posizioni ancora troppo distanti per trovare un terreno d’intesa.

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