Binario triste e solitario

Non sono stati giorni propizi per navigare con il battellino sia per i problemi ai pontili con il lago alto sia per l’impetuosa acqua scura del Cassarate che alla foce crea brutte correnti, accanto al porto comunale dove io e Asia siamo rimasti fermi a pulire le bottiglie vuote di Barbera fatto col mulo e a parlare di ferrovia. Sì, di ferrovia. Ha cominciato la mia amica con la storia di Nemo che, vincendo l’Eurovision Song Contest, ha riportato la discussione sul fatto che al mondo non ci sono solo i binari. C’è da allarmarsi e come minimo va organizzato un convegno con il professor Ratti per capire se e quando ci sarà il completamento di AlpTransit a sud di Lugano. Se si parla di binari, in prima battuta io penso a questo come, credo, molte altre persone, non necessariamente ferromodellisti. Mi illudevo, con questa digressione, di svicolare da una discussione che abbiamo avuto molte volte sul battellino, sempre finita su un binario morto. Ma Asia non l’ha bevuta ed è tornata a insistere per sapere quel che penso di Nemo da Bienne che, usando la definizione del vocabolario Treccani, è una «persona che rifiuta lo schema binario maschile-femminile nel genere sessuale e, a prescindere dal sesso attribuito alla nascita, non riconosce di appartenere al genere maschile né a quello femminile».
Nemo suscita una certa simpatia, ha fatto un’esibizione impegnativa anche fisicamente, ha tutto il diritto e la libertà di sentirsi quello che vuole in un Paese che, fortunatamente, non ti mette in galera e non ti ammazza se sgarri da ciò che un’autocrazia ha deciso sia buono e giusto per il bene del popolo. «Binario triste e solitario» cantava già nel 1959 Claudio Villa; che c’è allora di male se Nemo non vuol più essere un binario triste e solitario? Fin qui io e la mia amica siamo pienamente d’accordo. Oltre mica tanto, benché riconosca ad Asia di non essere una fanatica estremista contro le leggi incontrovertibili della natura anche se da microinfluencer del lago e content creator deve sempre inventare qualcosa per attizzare i suoi follower. Che la vittoria canora del bernese sia diventata l’occasione per riaprire la discussione politica sul riconoscimento dell’identità non binaria (il cosiddetto «terzo genere») o per lo stralcio del sesso dal registro di stato civile non stupisce nell’epoca della fluidità; sorprende semmai che il consigliere federale socialista Beat Jans, forse in mancanza di altre priorità nel suo Dipartimento di giustizia e polizia, si sia subito gettato sul tema.
In Svizzera dal 2022 è possibile cambiare l’iscrizione del sesso nel registro di stato civile (da maschio a femmina e viceversa, che è già una cosa discutibile: indipendentemente dal fatto che una persona si senta maschio, femmina o altro, si nasce ancora o maschio o femmina e basta) ma la rinuncia all’indicazione del sesso è esclusa. Per sfizio ideologico si vuole inventare il «terzo genere»? Che poi cosa vuol dire? Ci sono dei giorni in cui mi sveglio sentendomi orso: che faccio? M’iscrivo al «terzo genere»? Meglio orso che uomo, m’ha risposto la mia amica riferendosi a un dibattito partito da TikTok secondo cui diverse giovani donne sole in un bosco avrebbero più paura d’incontrare un uomo anziché un orso. Anche il democentrista Piero Marchesi e il leghista Lorenzo Quadri preferirebbero incontrare un orso anziché una persona non binaria. Nemo e i non binari – liberi di essere tali – non fanno paura; sono le supercazzole ideologiche che ruotano loro attorno a inquietare.