Business is business

Gli affari sono affari. Questa espressione sintetizza molto bene l’atteggiamento degli americani, molto duro, senza riguardi, al limite della brutalità, nelle trattative affaristiche. Talvolta viene aggiunto il «nothing personal» (niente di personale) a testimonianza che se approfitto della forza e ti mando in fallimento non è per astio od inimicizia, ma perché queste sono le regole del gioco catallattico. Mi sono chiesto più volte se questo atteggiamento, in generale, non sia influenzato da una cultura che ha visto emigranti europei pieni di fame conquistare un continente spopolato superando innumeri ostacoli che imponevano durezza e sacrifici, ed eliminandone gli abitanti (da noi chiamati pellirosse). Questa durezza, questa mancanza di riguardi noi svizzeri l’abbiamo esperimentata più volte. Chi ne vuole sapere di più può chiedere a qualche banchiere svizzero che abbia trattato con il DoJ (il Dipartimento di giustizia statunitense). Procedure spesso inutili, pretestuose, decisioni talmente sbilanciate a favore degli USA e protette dal segreto, multe faraoniche difficilmente giustificabili. Il vero motivo dello scontro era la concorrenza alle banche americane. Ma gli USA hanno il «clearing», vale a dire il monopolio dei pagamenti internazionali e la banca svizzera che ne fosse esclusa può chiudere i battenti.
Roosevelt non ha mai avuto molto simpatia per l’Europa ma era particolarmente avverso al nazional socialismo di Hitler e a Yalta, indebolito dalla malattia, ha concesso a Stalin il dominio dell’Europa dell’Est i cui Paesi hanno pesantemente sofferto sino al crollo del muro di Berlino. Non possiamo però dimenticare che gli USA hanno mandato la loro gioventù a battersi e morire sulle spiagge della Normandia e questo ci ha permesso di sfuggire alla dominazione della Germania nazista e più tardi, con la successiva guerra fredda, a quella comunista. Il «clearing» è infinitamente meglio degli orrendi campi di sterminio nazisti e dei gulag comunisti.
In questo quadro la Svizzera per una serie di ragioni, e sicuramente anche per l’abilità dei suoi dirigenti, nel passato non se l’è cavata male ed è oggi uno dei Paesi meno indebitati e con condizioni di vita e sociali invidiabili rispetto ad altre nazioni. È arrivato Trump alla presidenza degli USA, e con lui è arrivato un uomo d’affari, incolto, prepotente, autoritario ma non stupido, un non politico. Se la sua prepotenza sarà pagante lo vedremo nel futuro ma per il momento è con questa musica che si deve danzare. Di fronte a lui nelle trattative la Svizzera ha dimostrato tutte le sue debolezze e la sua impreparazione. Il venerdì, 1 agosto, la presidente della Confederazione federale Keller-Sutter ha avuto la preoccupante notizia dei dazi al 39%. Invece di convocare il Consiglio federale e qualche alto burocrate per il venerdì notte (così si fa a certi livelli negli USA) ha pacificamente fissato l’incontro per il lunedì della settimana successiva rispettando il weekend. Si è incontrata successivamente, per farsi giustamente consigliare, con diversi importanti imprenditori (alcuni americani) operanti in Svizzera. Dubito che la signora Keller-Sutter, pure stimata, lo abbia già fatto lo scorso dicembre dopo la nomina di Trump.
Abbiamo una burocrazia molto attenta ai propri privilegi, molto influente nella conduzione del Paese, competente ma disorientata se si esce dagli schemi e dai suoi ritmi di lavoro, specie quando si veleggia in un mare dove si incontrano navi corsare non solo trumpiane. Adottiamo dinanzi ad emergenze ritmi di velocità e capacità di reazione inadatti e non ci adattiamo facilmente a vie negoziali atipiche. Negli USA di oggi non si negozia con i ministri, in sostanza si deve convincere Trump. Nel novembre 2024, in un mio Commento successivo all’elezione di Trump, avevo detto della necessità ed urgenza di trovare i necessari agganci con influenza sulla Casa Bianca perché è così che funziona. Suggerire un simile atteggiamento è la spontanea reazione di ogni persona che abbia vissuto e operato negli USA. L’UE ha inviato a trattare con gli USA di Trump il Commissario europeo per il commercio e la sicurezza economica Maroš Šefčovič, uno slovacco, preparato perché laureato alla miglior Università di Mosca che formava gli alti gerarchi sovietici e che fu ammesso nel Partito comunista per la sua brillante tesi elogiativa su Stalin. Poi con duttilità ha mutato parere ma gli insegnamenti e l’abilità gli sono rimasti. Tra l’altro ha promesso a Trump 750 miliardi di acquisti di energia in tre anni. Un bluff, l’UE al massimo nel periodo può necessitare di 250 miliardi, ma Trump è contento e si vanta per il successo, più tardi, se del caso si litigherà. Preoccupante per noi che l’abile Šefčovič rappresentando l’UE abbia negoziato con il modesto Cassis per l’Accordo Istituzionale UE-Svizzera. Abbiamo una classe dirigente politica di persone oneste ma impreparate per un mondo cambiato, internazionalizzato e difficile. I nostri antenati sulle monete di allora avevano inciso la frase: Humana stoltitia et divina providentia regunt Helvetia. Speriamo in bene…