L’editoriale

200 franchi bastano a scaldare il dibattito

Il prevedibile no all’iniziativa «200 franchi bastano!» segna l’inizio dell’unica vera partita sul canone radiotelevisivo dai tempi della «No Billag», bocciata nel 2018
Paride Pelli
13.06.2025 06:00

Il prevedibile no all’iniziativa «200 franchi bastano!» segna, di fatto, l’inizio dell’unica vera partita sul canone radiotelevisivo dai tempi della «No Billag», bocciata nel 2018. In altre parole, dopo la decisione del Nazionale e al netto di improbabili ripensamenti agli Stati, adesso la parola passa dalla politica direttamente a tutta la società civile e si va senza più deviazioni alla votazione sull’iniziativa, a marzo 2026. Saranno nove mesi di acque agitate. Da parte della SSR si vedono già sul terreno alcune manovre obbligate e strategiche, preparate, ça va sans dire, anzitempo.

La RSI ha annunciato ieri un ulteriore soppressione di 37 posti di lavoro a tempo pieno per l’anno prossimo, dopo i 15 tagliati quest’anno, tutto nell’ambito di un piano biennale di ottimizzazione e di risparmi, finora, per una dozzina di milioni. Una cifra importante anche per un colosso pubblico che, va detto, ha sofferto meno la crisi generalizzata dei mass media iniziata un ventennio fa. Una crisi inesorabile che ha lasciato sul campo, nel settore privato, non poche testate e centinaia di professionisti, e che ancora continua. Basti pensare, a febbraio scorso e per limitarsi al solo Ticino, al taglio di alcune posizioni nella redazione de laRegione. «Stiamo preparando l’azienda ad essere giudicata» ha dichiarato ieri il direttore della RSI Mario Timbal.

È un’ammissione che fa onore al servizio pubblico, sostenuto con il denaro di tutti noi. Rispetto al 2018 e alla «No Billag», tuttavia, questa volta la strada è più in salita. Il cambiamento sociale e culturale, a braccetto con uno sviluppo digitale sfrenato, soprattutto a livello del web, sposta ogni anno gran parte del pubblico giovane verso piattaforme di informazione e di intrattenimento poco solide sul lato giornalistico, ma che hanno dalla loro l’attrattiva della novità e dell’essere gratis.

Non bastasse, il costo della vita in ascesa anche in Svizzera sta lasciando meno soldi nelle tasche dei cittadini: la tentazione di una parte della popolazione di alleviare attraverso il voto quella che di fatto è una tassa indiretta e obbligatoria potrebbe essere forte. La SSR dovrà dunque giocare la partita sulla qualità dei propri servizi e sull’ottimizzazione dei costi di produzione. Tale dolorosa cura dimagrante potrebbe però diventare un potente asso nella manica per la SSR nell’agguerrita campagna che si scatenerà per la votazione. La «No Billag» venne bocciata con il 71,6% dei voti a livello svizzero (il 65,5% in Ticino). Al prossimo giro le percentuali saranno meno sbilanciate e dimostrare di «aver fatto i compiti a casa» sarà dirimente per l’esito della votazione.

Senza contare che il taglio dei costi è fin da ora propedeutico all’eventualità che alla fine si vada verso quanto indicato dalla revisione dell’ordinanza del Consiglio federale, che propone comunque un abbassamento a tappe del canone fino ai 300 franchi annuali. Un obiettivo di compromesso che dovrà passare appunto attraverso le forche caudine del voto sull’iniziativa. Nulla, per ora, è certo. Essendo stati respinti, ieri, anche il controprogetto indiretto dell’UDC e la proposta socialista, il popolo avrà tra le mani una scelta storica. Il dibattito sarà dunque caldo, con un culmine prevedibile sul finire del prossimo inverno. Alcune posizioni si sono già definite in termini che hanno fatto anche storcere il naso.

È il caso dell’accordo tra Schweizer Medien e SSR: sostegno privato contro l’iniziativa in cambio di una limitazione dell’offerta online pubblica. Mutuo soccorso o patto di non belligeranza? La verità è che vi sono ancora diversissime condizioni di partenza per ciò che riguarda i media privati rispetto a quelli pubblici. Per questo guardiamo già con una punta di invidia alla campagna che si scatenerà sull’iniziativa, che in ultima analisi sarà comunque una grande pubblicità per la SSR. In tempi dove la pubblicità, e l’attenzione della politica, per i media privati scarseggia invece parecchio.