A Kiev si muore ma la piazza non si mobilita

In attesa dello scambio di prigionieri, in attesa di vedere i primi frutti del piano di pace siglato tra Israele e Hamas dopo 734 giorni di sangue, morte, atrocità, devastazione, ci consoliamo con le scene di gioia dei bambini che riprendono a sorridere nella striscia di Gaza. Non è poco. Anzi. Come ha detto giustamente il patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa alla Repubblica «è la fine di una lunga notte», anche se questo «non vuol dire che è pieno giorno». Ma un accordo di pace andava firmato. Urgentemente e adesso tutti devono essere capaci di voltare pagina. Di riprendere una convivenza civile, di stabilire regole che non portino intere generazioni a crescere con un carico d’odio impressionante.
L’odio che ha portato il 7 ottobre 2023 i terroristi di Hamas a uccidere 1.194 israeliani e rapirne altri 250 in una girandola di atrocità che vanno al di là dell’umana comprensione e che ha portato il governo di Netanyahu a scatenare una offensiva sproporzionata e inumana. Due fatti, valutati spesso in maniera differente dalle forze politiche, che hanno dato vita a una straordinaria mobilitazione. Una mobilitazione iniziata (ricordate?) nelle università e poi arrivata nelle piazze. Una mobilitazione pro Palestina, in alcuni casi ad uso e consumo di partiti che evidentemente pensano di sfruttarla a fini elettorali giocando sull’emotività e la (giusta) indignazione.
Un sano attivismo (al netto di chi, intervistato dalle tv durante le manifestazioni, ha affermato che Hamas è un movimento di resistenza e liberazione), che ora dovrebbe orientarsi su un altro conflitto: quello in Ucraina.
Perché ha ragione il presidente Volodymyr Zelensky quando - è successo ieri, sabato ha chiesto a Donald Trump un maggior impegno, dopo essersi congratulato «per l’accordo in Medio Oriente», un «risultato straordinario». Ma, ha aggiunto, «se una guerra può essere fermata
in una regione, allora sicuramente altre guerre possono essere fermate, compresa la guerra condotta dalla Russia». Ha ragione Zelensky, perché verso Kiev e l’Ucraina, sottoposta ad asfissianti bombardamenti, non è salpata alcuna Flottiglia di indignati contro la guerra con a bordo Greta Thunberg. Non è apparsa come una madonna laica (con «gran sfoggio di kefiah e bandiere palestinesi» come ha scritto Fabrizio Roncone sul Corriere della sera), la giurista Francesca Albanese, Nostra Signora dei pro Pal, capace persino di contestare con fare saccente la senatrice Liliana Segre, una donna che il campo di Auschwitz l’ha conosciuto sulla sua pelle (matricola 75190).
Insomma, non si vede una mobilitazione a favore dell’Ucraina, uno Stato aggredito al quale sino ad oggi sono state concesse solo armi (che non servono certo per la pace), denaro e solidarietà (politica) a parole, oltre sanzioni risultate inutili. Non si vuol fare una macabra questione di numeri ma secondo l’ONU, dall’inizio del conflitto in Ucraina sono stati uccisi o feriti oltre 50.000 civili, un numero affiorato a Ginevra, e reso noto dall’Alto Commissario per i diritti umani Volker Türk. Tra le vittime, come a Gaza, ci sono i bambini: oltre 700 uccisi e quasi 2.300 feriti. Poi, tra febbraio 2022 e maggio 2025, secondo diverse fonti, solo le vittime russe si avvicinerebbero al milione. Molti erano soldati ragazzini, strappati dalle campagne e vittime anche loro di una guerra che non scalda le piazze.