L'editoriale

A Mosca fanno gola le risorse del Donbass

I blindati russi puntano verso la regione ricca di risorse: dal petrolio alle terre rare
Gerardo Morina
Gerardo Morina
12.04.2022 06:00

I blindati di Mosca puntano verso il Donbass. Difficile che Putin molli su questo punto. L’obiettivo dichiarato del presidente russo è di liberare la regione ucraina per «denazificarla» e per proteggere la popolazione russofona. Meno dichiarati sono invece i forti interessi di carattere economico, considerato quanto siano strategiche le risorse di cui dispone il Donbass. Stiamo parlando di un’area dell’Ucraina orientale suddivisa nei territori del Donetsk, la città principale, del Dnipropetrovsk e del Lugansk. Il governatore di quest’ultima ha confermato che ormai l’attacco finale è imminente, convinto che la vera priorità del presidente Putin sia assumere il controllo delle abbondanti risorse minerali della regione. Il Donbass, infatti, è una delle regioni dell’Ucraina più ricche per riserve di carbone, gas e petrolio. I combustibili fossili sono al centro dell’interesse russo: solo nel Donbass ci sono infatti 100 miliardi di tonnellate di carbone, 135 milioni di tonnellate di petrolio e 1,1 trilioni di metri cubi di riserve di gas naturale. Non solo. Perché il Donbass possiede ingenti riserve di metalli e terre rare, essenziali per l’industria tecnologica, dal momento che vengono utilizzati nei dispositivi tecnologici, come cellulari, fotocamere e computer, ma anche negli aerei da combattimento. E non è un caso che quasi la metà del PIL ucraino, circa il 42%, derivi proprio dalle attività di estrazione mineraria. Il Donbass in particolare ha rappresentato il fulcro dell’economia e dell’industria russa tanto in epoca zarista quanto in quella sovietica. Inoltre, impadronirsi delle miniere di carbone serve al Cremlino sia per onorare il recente accordo da 20 miliardi di dollari con la Cina che prevede una fornitura nei prossimi anni di circa 100 milioni di tonnellate, sia quello con l’India, stipulato nel novembre del 2021, che garantisce una dotazione di 40 milioni di tonnellate all’anno. Insomma, con il 35 % delle attività minerarie e di estrazione, il 22% della produzione manifatturiera, il 20% di riserve energetiche senza dimenticare il 18 % di riserve d’acqua, il Donbass è da sempre una delle regioni più appetite dell’Ucraina. Nel 2014, prima che le autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk scatenassero il conflitto separatista su una linea del fronte di oltre 450 chilometri, la regione nel suo complesso produceva il 25% delle esportazioni. Di qui il vero oggetto del desiderio da parte di Mosca, assieme alla conquista della fascia costiera dell’Ucraina. Dal punto di vista militare, gli analisti spiegano che i reparti russi sono stretti tra la necessità di ridiventare pronti al combattimento ( dopo avere subìto perdite pesanti di mezzi e uomini) e gli ordini dall’alto che invitano a fare in fretta a prendere il Donbass- in tempo per la celebrazione della Giornata della Vittoria su Hitler il 9 maggio, che per Putin è diventata negli anni una sorte di culto. C’è anche considerare un altro aspetto. La popolazione del Donbass è per oltre il 60 % di etnia ucraina, anche se è vero che il 70% dichiara il russo come prima lingua. Si prevede che l’invasione russa, come si è verificato a Kiev, scatenerà un altro grande esodo. Per cui la gente del Donbass raggiungerà gli altri dieci milioni (almeno) di sfollati ucraini che hanno già fatto la stessa cosa dall’inizio della guerra. Ora, secondo dati delle Nazioni Unite, circa 350 mila profughi ucraini hanno già preso la via della Russia. La quale tenta di fare da sirena promettendo procedure rapide e privilegiate per concedere ai nuovi profughi la cittadinanza russa. In realtà, al di là dell’offerta simbolica diretta ai profughi slavi di origine ucraina in base alla concessione di una cornice legale che sancisca il concetto che gli ucraini fanno parte di diritto della nazione russa, in pratica la situazione si dimostrerebbe tutt’altro che agevole e le condizioni dei neo-russi dimostrerebbero in sostanza trattamenti tutt’altro che egualitari soprattutto nel settore della manodopora. In altre parole, nient’altro che una forzata trappola per le allodole.

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