Il commento

A.A.A. Reggia centro Londra affittasi

Negli ultimi giorni la Gran Bretagna è stata scossa da un dibattito aperto sull’abolizione della monarchia di un’intensità senza pari dai tragici giorni della morte di Diana
Antonio Caprarica
06.11.2025 06:00

Andrea Mountbatten Windsor, una volta conosciuto come il principe Andrea, è oggi un signor nessuno. Spogliato del titolo principesco, dopo aver perso anche quello ducale, scacciato dal sontuoso Royal Lodge che occupava a Windsor, esiliato in un cottage nella campagna di Sandringham, dove vivrà a spese personali di re Carlo. Il sovrano non può non essere severo, il fratello non può non tendere una mano.

«The Firm», ovvero la Ditta come i Windsor amano definirsi, è abituata ad affrontare le tempeste. Nel passato, la cosiddetta «era della deferenza», la bussola consisteva in una regola resa famosa da Elisabetta II. «Never complain, never explain»: mai lamentarsi, mai spiegarsi. Ma questa volta non poteva più bastare. Perché questa volta è diverso. Non solo per la gravità delle colpe ascritte ad Andrea ma perché mai dalla crisi dell’Abdicazione, nel ’36, a oggi la popolarità della monarchia aveva raggiunto un punto così basso.

Se un anno fa era la doppia malattia di Carlo e della nuora Catherine a far vacillare seriamente il trono, nell’odierna situazione di debolezza la lebbra morale trasmessa dal pedofilo Epstein ad Andrea minaccia di mettere la monarchia di fronte a una sfida per la sopravvivenza.

L’ex principe ha evitato (finora, e domani…?) la corte di giustizia ma la corte dell’opinione pubblica l’ha ormai condannato senza appello. Il principe di Galles, e futuro re William V (sperando di diventarlo), l’aveva capito già da un pezzo, tant’è vero che si rifiutava di condividere con lo zio perfino occasioni private e famigliari, e premeva sul padre perché lo bandisse pure dai pranzi di Natale. Il re ha resistito, per rispetto della madre e della storia di famiglia, ma l’ultima ondata di rivelazioni nelle memorie appena pubblicate di Virginia Giuffre, abusata e suicida, lo ha spinto a una reazione senza precedenti nella tradizione reale. Non solo la punizione durissima che moralmente equivale a una condanna alla Torre, ma un’enfatica e commossa dichiarazione di sostegno alle vittime che riecheggia la straordinaria emozione dell’opinione pubblica.

Negli ultimi giorni la Gran Bretagna è stata scossa da un dibattito aperto sull’abolizione della monarchia di un’intensità senza pari dai tragici giorni della morte di Diana, nel 1997. È andato in onda in tutte le trasmissioni radio e tv di maggiore ascolto. Carlo è stato fischiato pochi giorni fa durante la sua visita ufficiale alla cattedrale di Lichfield. La sera di giovedì scorso, quando la notizia che Andrea non era più principe ha raggiunto lo studio di Question Time, uno dei talk più seguiti della BBC, il pubblico è scoppiato in un applauso spontaneo.

Non sono segnali da sottovalutare, e a Buckingham Palace non lo fanno. C’è un sondaggio che terrorizza i Windsor. È dal 1983 che la British Social Attitudes Survey pone ai sudditi la stessa domanda: «È importante la monarchia per il Regno Unito?». A settembre scorso per la prima volta ha risposto sì appena il 51% degli intervistati contro l’86% di quattro decenni fa. Mai registrata una maggioranza così esigua, per di più frutto per tre quarti del consenso di adulti sopra i 55 anni. Nella fascia di età tra 16 e 34, 6 inglesi su dieci dichiarano invece di preferire la repubblica. Per YouGov, il più famoso istituto di sondaggi, solo il 62% dei britannici è favorevole alla monarchia, giù di ben 13 punti dal 75% del 2013, subito dopo il fastoso Giuboleo di Diamante della regina Elisabetta.

Per salvare il trono non c’è tempo da perdere. Il più convinto ne è William, che vede a rischio la sua stessa corona. La monarchia - ripete agli intimi - sopravvive solo se si evolve. Ma la riformulazione della famiglia reale deve essere profonda, avvertono gli esperti. Dev’essere più piccola, non più grande. E poi, servizio al posto del privilegio. Dovere al posto della pompa. Carlo ha già avviato la riforma ma l’erede dovrà incidere più in profondità, ed è intenzionto a farlo. Si annunciano tempi duri per i parenti che ancora sfoggiano i titoli altisonanti di duchi e duchesse, principi e principesse. Dovranno guadagnarseli, o cambiare mestiere.

William e Catherine hanno già deciso che non vivranno mai nella grandeur anacronistica di Buckingham Palace, restando invece anche dopo l’incoronazione nel comfort più borghese di una grande villa nel parco di Windsor, Forest Lodge. Una volta, quando la regina Vittoria rimasta vedova e disperata rifiutava di tornare a Londra a Buckingham Palace, qualche bello spirito repubblicano affisse alla cancellata della reggia il cartello «TO LET», Affittasi. Centocinquant’anni dopo rischia di succedere davvero.