Ada e le parole

Ho scritto le parole di questo pensiero di libertà con la mia testa e le mie mani. Ho interagito anche con la rete, rivolgendomi a Wikipedia, che mi ha fornito dati precisi su Ada, ma le parole che leggete non sono state scritte da una sorta di cosiddetta I.A., Intelligenza Artificiale. Chi assicura tuttavia che non lo saranno le prossime, o che già non lo sono molti articoli di giornale, discorsi politici, annunci pubblicitari e così via?
Chi garantisce che la capacità di programmi come Chat Gpt di comporre frasi, periodi lunghi, romanzi, pescando e combinando milioni, miliardi di parole già scritte, non darà luogo a un potere devastante di manipolare le menti degli esseri umani che tale capacità non posseggono? E che potere, se aveva ragione un pezzo teatrale di Dario Fo dal titolo «L’operaio conosce 300 parole il padrone 1000 per questo lui è il padrone». Queste domande mi assillano da quando rifletto sul tema «parola», l’argomento del Festival Filosofia che si svolgerà tra il 15 e il 17 settembre a Modena, Carpi, Sassuolo. Ma soprattutto dopo che ho letto il giallo informatico «Ada» di un autore americano che scrive in francese, Antoine Bello. Ada come Ada Lovelace (1815-52), figlia di Lord Byron, matematica inglese e discepola di quel Charles Babbage che aveva concepito una macchina analitica digitalmente programmabile antenata del computer.
Ada Lovelace fu la prima a intuire le possibilità del calcolatore di andare oltre la capacità di fare calcoli; per esempio, la possibilità di scrivere testi omogenei e plausibili, persino romanzi che vinceranno il premio Pulitzer, come nel giallo citato (che è del 2016!), assemblando e manovrando parole altrui. Questo vuol dire che ogni parola, ogni frase, ogni paragrafo e capitolo mai scritto potrà essere recuperato, copiato, riassunto, elaborato e riciclato da un calcolatore programmato a questo scopo. Il che conduce di certo a una riformulazione continua del vecchio, ma, ci chiediamo, porta anche alla creazione del nuovo? Può prodursi innovazione soltanto dal rimescolamento continuo della tradizione? Possono nascere pensieri nuovi, racconti, storie, romanzi, ma anche critiche, interpretazioni e osservazioni innovative soltanto riciclando quantità enormi di roba vecchia? Il romanzo di Antoine Bello termina con il trionfo del computer sulla mente umana grazie anche al fatto che la macchina non ha sentimenti né emozioni, non conosce principi morali, non avverte l’angoscia della scelta libera né la fierezza del mantenere la parola.
Forse sarà persino in grado di trovare le parole giuste per comporre un commuovente «haiku», la raffinata forma di poesia giapponese (diciassette sillabe, tre versi) dei quali si diletta l’ingegnoso commissario Frank Logan protagonista del romanzo «Ada».