Addio, Giorgio Armani: come te pochi, non solo nella moda

Lo incontrai per caso: la modella australiana che aveva scelto per la campagna primaverile mondiale di Emporio Armani – la sua linea più giovane e inclusiva rispetto a quelle d’alta moda – si era ammalata. Perciò la sua scelta ricadde su di me. Il mio volto era stato notato alcuni giorni prima da Aldo Fallai, il suo fotografo di fiducia che in quel periodo curava l’immagine di tutte le sue campagne pubblicitarie internazionali. Il suo staff mi opzionò in tutta fretta: non c’era tempo da perdere perché la seduta di fotografie era prevista il giorno dopo. In un batter di ciglia, l’agenzia mi liberò da tutti gli altri impegni. Del resto, chi avrebbe detto di no a Giorgio Armani?
Così mi ritrovai confrontata con la macchina pubblicitaria di uno dei mostri sacri della moda. Per una modella, essere protagonisti di una campagna così importante, significa compiere un salto in avanti qualitativo nella propria carriera. Un bel «colpaccio», ma a volte il successo è anche frutto di casi fortuiti. Erano gli anni Ottanta, gli anni della «Milano da bere», e lo stilista era già una star planetaria, conosciuto per il suo stile sofisticato e minimalista. Il suo marchio Giorgio Armani era nato dieci anni prima, dopo una lunga esperienza accanto a Nino Cerruti, per il quale disegnò una delle sue linee moda uomo fino al 1970.
Le sue creazioni si distinguevano per le sue linee pulite, i colori neutri e i tessuti di alta qualità. Era riuscito a fare qualcosa di rivoluzionario: aveva sottratto la giacca maschile dal guardaroba dell’uomo per riconsegnarla destrutturata alle donne in carriera.
«L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare» ripeteva spesso, conscio di aver riscritto le tendenze.
Rappresentare la linea «giovani» di questo genio della moda era il massimo a cui potevo aspirare e non nascondo che quella mattina, prima di partire dal mio appartamento milanese, l’ansia da prestazione mi assalì. Lui aveva reso il Made in Italy un marchio planetario e in fin dei conti io ero una giovane modella alle prime armi. «Riuscirò a interpretare in modo corretto i suoi abiti? Come sarà il fotografo? E lo staff che seguirà lo shooting?», mi chiedevo mentre raggiungevo in taxi il luogo dell’appuntamento, a pochi passi dal cuore di Brera, proprio dove da sempre campeggiano i murales Armani.
In genere gli stilisti non seguono i lavori sui set, ma lasciano fare ai loro assistenti, che conoscono a menadito gli ingredienti delle campagne. Non potete dunque immaginare la mia sorpresa quando da una piccola utilitaria vidi uscire un uomo tutto vestito di nero insieme a una donna minuta. Si, era proprio lui, il grande stilista piacentino, accompagnato dalla sorella Rosanna, con la quale aveva un rapporto molto stretto. Di guardie del corpo, nemmeno l’ombra. «Oddio, adesso che faccio?» mi dissi, immaginando di avere a che fare con una delle tante «prime donne» che popolano il mondo della moda. Invece Giorgio Armani e sua sorella Rosanna si rivelarono due persone squisite. Percependo forse la mia ansia, cercarono di mettermi a mio agio. Tra un cambio di abiti e l’altro, spostavano la sciarpa a me e il cappellino all’altra modella. Il tutto con una gentilezza e una concentrazione assolute. In gioco per i due fratelli c’era la nuova stagione e la campagna doveva essere perfetta. Le bizzarrie restavano fuori dalla porta.
Davanti a me, c’era soltanto un professionista la cui umiltà era direttamente proporzionale alla sua fama. Addio Giorgio Armani: come te, pochi. Non solo nel blasonato mondo della moda.