«Ah… tra l’altro: è morta Lady D!»

Mi sveglio di buona mattina per la bella camminata in montagna organizzata dagli amici. Nel cielo non c’è una nuvola tuttavia in altura il tempo è traditore, soprattutto a fine agosto. Perciò oltre alla borraccia e ai panini, infilo nel sacco ogni ben di Dio: cerotti, giacche, giacchette, pantaloncini, pantaloni lunghi, foulard, berrette. Ho talmente paura di dimenticarmi qualcosa di indispensabile che mi scordo di ascoltare il radiogiornale delle 7. «Non fa nulla – mi dico per tranquillizzare la giornalista che è in me, mentre salgo sull’auto dei miei amici – oggi è domenica e la cronaca è sempre avara di notizie».
Posteggiamo a Cimalmotto. È da lì che parte il sentiero per il lago di Sfille.
Durante le due ore e mezza di camminata, parliamo del più e del meno. Il lavoro, gli amici, i figli. Le chiacchierate si intervallano a lunghi momenti di silenzio dettati dallo sforzo a cui io non sono certo abituata.
Ad un passo dalla meta, uno dei miei tre amici si volta, ci guarda e con una calma serafica dice: «Ah, tra l’altro stanotte è morta Lady D». Noi non vogliamo credergli. «Ma come… ce lo comunichi soltanto ora e in questo modo?» gli rispondiamo guardandolo con grande severità vista l’imperdonabile leggerezza con cui ci aveva appena comunicato la ferale notizia.
Gli affari della Corona inglese non appartengono certo al tran tran di noi bellinzonesi.
Tuttavia la notizia ci colpisce nel profondo. La sensazione è come se a morire fosse stato uno di noi.
Per comprendere il singolare cordoglio occorre fare un passo indietro e tornare negli anni 80, quando stavamo per lasciarci alle spalle la nostra adolescenza per sbarcare nell’età adulta. Erano momenti di grande libertà per la quale la generazione precedente si era tanto battuta. Fino a quando iniziò a girare una strana voce. «In circolazione – si diceva – c’è una nuova malattia che colpisce la comunità gay, ma tranquilli, succede solo in America».
Un anno dopo l’Aids, la sindrome da immunodeficienza acquisita, sbarcò anche a Bellinzona. Si scoprì che la nuova malattia non colpiva soltanto gli omosessuali ma pure gli eterosessuali e in particolare i tossicodipendenti. Tutti erano potenzialmente a rischio.
Strane macchie apparvero sui corpi di molti nostri amici e chi perdeva improvvisamente peso veniva trattato come un appestato. Delle modalità di trasmissione si sapeva ben poco. La paura era che ci si potesse infettare anche con il tatto. Chi risultava positivo era spacciato: doveva barricarsi in casa perché la comunità aveva paura di lui.
Persino alcuni medici si rifiutavano di trattare i pazienti per paura di contrarre il virus.
Il dolore dei primi sintomi della malattia andava così a sommarsi a quello, forse ancor più bruciante, dell’isolamento sociale.
Era una vera sciagura e noi eravamo terrorizzati.
Poi arrivò lei, Lady D. Capelli biondi, sguardo profondo, la testa sempre leggermente inclinata.
La principessa del Galles si fece fotografare a Londra mentre stringeva la mano di un sieropositivo. Fu il primo personaggio pubblico che ebbe il coraggio di toccare una persona malata di Hiv.
«L’AIDS non rende pericolose le persone – affermò – dunque potete stringer le mani e dar loro un abbraccio. Dio solo sa quanto ne hanno bisogno».
L’immagine e le sue parole fecero il giro del mondo e finalmente i malati non furono più esclusi dalla società, neppure a Bellinzona. Con quel gesto Lady D, la principessa triste come la chiamavano ai tempi, era riuscita ad alleviare tanta sofferenza anche in un angolo remoto come il nostro.
Ecco perché quel 31 agosto 1997 era come se fosse morta un’amica, non una testa coronata.