Al Colle un vecchio moroteo

di Gerardo Morina - All'inizio la ricerca era per un massimo comune denominatore, alla fine ha prevalso un minimo comune multiplo. È stato questo il risultato della matematica politica con geometria a scatole cinesi che sabato ha portato al Quirinale Sergio Mattarella, da domani ufficialmente dodicesimo presidente della Repubblica italiana. Quale presidente sarà lo diranno solo i fatti e i problemi che si affacceranno nel corso del suo settennato. Per ora si può solo ragionare sulle premesse, che sono varie e, al di là della compassata retorica, non tutte lusinghiere. La prima premessa che salta subito all'occhio è che la Seconda repubblica (perché solo l'effettivo avvio delle riforme porterà alla Terza) ha avuto bisogno di rintracciare nel repertorio antropologico della Prima repubblica una persona eleggibile al Colle. Ne è emersa una personalità di estrazione politica morotea e poi demitiana, un ex democristiano di sinistra che oggi serve quasi da riscatto per quella generazione del Partito democratico rottamata da Renzi. È successo perché il presidente del Consiglio ha trovato in Mattarella (compìto, di poche parole, seminascosto nella sua Panda grigia) l'unico nome in grado di compattare il suo partito e forse, ma non è detto, capace anche di non coprire la sete di democrazia leaderistica che il rampante Renzi sta cavalcando a tutto spiano. Con la sottile e convincente imposizione di tale nome, Matteo Renzi ha dato prova di un tatticismo di lungo, medio e breve termine, di cui si intravedono le componenti. La visione del giovane ex sindaco di Firenze si spinge a inserire la figura del presidente appena nominato nella nuova architettura istituzionale, possibile se e quando andranno in porto la nuova legge elettorale e le altre riforme costituzionali attualmente in discussione alle Camere. In tale quadro troveranno posto non solo un aumento del potere del capo del Governo, ma parallelamente una probabile diminuzione delle prerogative del capo dello Stato: la perdita della possibilità di nominare il presidente del Consiglio, la riduzione dei poteri di veto e d'intervento, nonché il venir meno della funzione simbolica di rappresentare il Paese sulla scena internazionale. Se così sarà, Mattarella apparirà la persona giusta per un presidente sempre più chiamato a conformarsi al modello di marginalità di tipo tedesco. A medio termine, a Renzi occorreva poi un profilo di esperto in materia giuridico-istituzionale tale da arginare le continue accuse di incostituzionalità che hanno come bersaglio quasi tutti i tentativi di riforma in corso da parte governativa. Più a breve termine, il tatticismo finora sconosciuto o sottovalutato di Renzi ha inferto con l'elezione di Mattarella un duro colpo all'opposizione, mostrando un'assoluta mancanza di scrupoli per quanto riguarda il rispetto del cosiddetto patto del Nazareno contratto con Berlusconi. Prima dell'elezione del presidente della Repubblica, Renzi ha infatti incassato i voti di Forza Italia sulla legge elettorale, poi ha lasciato che Berlusconi facesse il suo gioco attorno alle candidature di Amato e Casini e alla fine ha serrato i ranghi del PD, facendo scacco matto con Mattarella. Le conseguenze sono che il ruolo del leader di Forza Italia ne è uscito politicamente marginalizzato e irrilevante nel momento in cui il centrodestra si è diviso tra le truppe moderate di Alfano (NCD), che pur tra mille travagli ma anche per non vedere venir meno la loro presenza nel Governo Renzi hanno votato Mattarella, e quelle forziste risultate spaccate tra i ribelli di Fitto (38 voti a favore del neopresidente eletto) e le cento schede bianche obbedienti ai dettami di Berlusconi. Ne consegue che il Cavaliere riesce ora meno che mai a condurre l'ex vasto fronte del centrodestra, rendendo irrealizzabile nelle condizioni attuali una vera alternativa al Governo Renzi. Con il tradimento da parte di quest'ultimo del patto del Nazareno, viene meno anche quella diarchia che tanto piaceva al Cavaliere, ora tentato da una qualche rivalsa, ma più realisticamente orientato a non perdere i contatti con un presidente del Consiglio che gli ha fatto nettamente capire di essere lui a detenere il monopolio della leadership politica.