L'editoriale

Anche solo qualche gradino, non si può restare fermi

Anche se non si è ancora trovato il modo di fermare la distruzione, ha senso lavorare per la pace e nel contempo per la ricostruzione
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
05.07.2022 06:00

La guerra in Ucraina causata dall’invasione russa comporta anzitutto un tragico carico di perdite umane, poi anche un fardello di perdite economiche. Soprattutto per l’Ucraina, Paese aggredito, ma anche in una certa misura per l’economia internazionale. A livello mondiale si è ancora in area crescita, ma c’è chiaramente un rallentamento, dovuto a più fattori. C’è l’inflazione che sale in modo eccessivo, ci sono le code di pandemia con i loro riflessi sulle economie, ci sono troppi dazi che frenano gli scambi. Ma c’è anche il conflitto in Ucraina con il suo peso economico. Se l’Ucraina piange, la Russia Paese aggressore non ride, perché anch’essa subisce gli effetti economici negativi di ciò che ha provocato, sanzioni occidentali incluse. Quanti sostengono che Mosca se la sta cavando bene sottovalutano ampiamente il peso nel medio e lungo termine di queste sanzioni e i costi umani ed economici che la guerra sta avendo anche per chi l’ha voluta. Ma per molti aspetti i punti fondamentali riguardano appunto l’Ucraina invasa e l’economia internazionale. Su entrambi questi versanti occorre agire sia per il presente sia per il futuro. Se da un lato bisogna sostenere l’Ucraina aggredita e al tempo stesso la ricerca della pace, dall’altro bisogna anche guardare avanti, per non farsi trovare impreparati ai prossimi appuntamenti. Si può comprendere l’imbarazzo di una parte dell’opinione pubblica al riguardo di una conferenza come questa di Lugano, che pone al centro la ricostruzione dell’Ucraina mentre purtroppo le armi ancora non tacciono e le distruzioni continuano. La domanda sentita spesso in queste settimane è: ha senso parlare di ricostruzione quando non si è ancora trovato il modo di fermare la distruzione? Se si guarda in modo equilibrato il quadro, la risposta è che sì, ha senso fare entrambe le cose, lavorare per la difesa dell’aggredito e per la pace e nel contempo lavorare per la ricostruzione. Questo per l’Ucraina, come è giusto che sia, ma anche per i valori della democrazia e della crescita economica internazionale basata sull’apertura e sullo sviluppo del libero scambio.

Nel capitolo economico le somme in campo sono rilevanti. Le stime prevalenti indicano molte decine di miliardi di dollari, quindi anche di franchi, di danni già provocati alle infrastrutture dell’Ucraina dalla guerra, le fonti ucraine parlano ora della soglia dei cento miliardi. Per quel che riguarda gli investimenti necessari per la ricostruzione, si è passati da alcune centinaia di miliardi indicati nella prime settimane della guerra alle molte centinaia di miliardi indicate ora, forse si è a 700-800 miliardi. È in ogni caso evidente che l’Ucraina non è in grado di reggere da sola questo urto, che oltre agli aiuti immediati occorre considerare un piano per gli anni a venire, in cui possano convivere, in accordo con l’Ucraina stessa, finanziamenti e investimenti di Stati, istituzioni economiche internazionali, investitori privati. Nell’interesse dell’Ucraina, certo, ma anche della crescita economica e degli scambi mondiali. Dopo tanto studiare e parlare di piano Marshall all’epoca della Seconda guerra mondiale, ora c’è una situazione che richiede uno spirito analogo, seppure con somme e situazioni diverse. Da questa conferenza di Lugano non ci si può aspettare una soluzione completa. Ma se ci sarà almeno qualche passo in questa direzione, sarà già un risultato apprezzabile. Poi altri passi andranno fatti, è chiaro, ma l’alternativa del non muoversi attendendo la scala intera non è valida, meglio tentare di costruire un gradino dopo l’altro.

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