App-licare, ad-plicare

Che cosa vuol dire «app», termine che tutti usiamo di frequente? È l’abbreviazione di «application»!, dirà qualcuno e avrà risposto correttamente. Ancora meglio se aggiungerà che è sinonimo di programma. App, come pure application, sta per ogni programma o parte di software che svolge un compito specifico per ordine dell’utente del sistema computazionale. Esempio: la app delle FFS, cui puoi chiedere di consultare l’orario dei treni, acquistare biglietti, prenotare il posto, ricevere aggiornamenti su ritardi e disagi e molto altro. Benissimo.
Ma torniamo di nuovo al senso, non alle prestazioni, di app, non senza notare che WhatsApp unisce l’espressione inglese what’s up (che cosa succede?) con l’onnipresente app... La lingua inglese ha mantenuto il sostantivo application ma ha perso per strada il verbo (contrattosi in to apply), che la lingua italiana e altre hanno conservato. Applicare indica l’azione di mettere qualcosa in contatto materiale ed effettivo con qualcos’altro. Esempio: applicare il cerotto su una ferita. Viene dal latino ad + plicare. Cominciamo dal secondo termine: plicare, piegare, fare in modo che le cose si mettano in contatto come avviene nei lati di una cosa che si piega. Il primo termine, ad, è una preposizione latina che sta per a, verso, presso. Indica un moto, reale o metaforico, una direzione verso una cosa, una persona, un luogo. Nel latino medievale ad si abbreviava con un segno in cui la a e la d si fondevano dando luogo a una a in cui l’asticella, allungata come quella della d, si arricciolava intorno al corpo della a: @. Riconoscete il segno della tastiera del computer dell’indirizzo di posta elettronica? Ad, presso, in inglese at. Ancora più interessante è però il verbo plicare che segue la preposizione ad. Viene come abbiamo detto dal latino plicare, in greco plèkein: si mette una cosa a contatto con un’altra, piegandola affinché si adatti.
L’idea di piegare è presente in tantissime parole del nostro vocabolario, a partire da spiegare, dal latino ex-plicare. Spiegare: eliminare le pieghe in cui si annida l’oscurità; stendere, dispiegare il testo come un lenzuolo perché la luce ne illumini l’intera superficie. Da plicare vengono poi applicare (eccolo!) ma anche complicare, implicare, replicare e supplicare (il supplice piega le ginocchia). Poi, plicare due, tre, cento volte: duplicare, triplicare, centuplicare, insomma moltiplicare. Oppure semplificare, togliendo d’un colpo tutte le pieghe. Ciò che non ha pieghe è semplice, ciò che ne ha tante è molteplice, chi ne ha due o tre, duplice e triplice. Chi si piega con me è mio complice. È importante conoscere il senso di queste parole? È solo curioso? O ci basta usarle? Io credo che conoscere ci faccia capire e sapere di più, e sapere rende liberi.