Tra il dire e il fare

Ci portano via la democrazia

Il vuoto lasciato dalla trasformazione repentina della democrazia statunitense minaccia tutte quelle liberali: la nostra piccola e speciale democrazia diretta è sotto attacco ancora più di altre
Alessio Petralli
Alessio Petralli
13.10.2025 06:00

Il vuoto lasciato dalla trasformazione repentina della democrazia statunitense minaccia tutte le democrazie liberali. La nostra piccola e speciale democrazia diretta è sotto attacco ancora più di altre, visto che in questo mondo caotico le dimensioni e la forza bruta contano più che mai.

Oltre alla forza delle armi, pensiamo alla potenza delle nuove tecnologie, prima di tutto dell’intelligenza artificiale (IA), che condiziona tutti noi. È innegabile che la democrazia va a braccetto con la capacità e l’abitudine richieste dalla lettura profonda. Il dibattito fra persone competenti rimane fondamentale, ma imperversano i social, dove l’algoritmo premia il conflitto e non il ragionamento. Se consideriamo i gravi danni prodotti da social non regolamentati, c’è di che essere preoccupati dall’avvento di un nuovo potere mondiale, che ha fatto del caos il proprio habitat privilegiato e che vede nell’IA libera da lacci e laccioli il nuovo campo di battaglia. Raramente ci è capitato di leggere un testo sul tema così denso, avvincente e ben congegnato. Si tratta de «L’ora dei predatori» di Giuliano da Empoli (Einaudi 2025), uscito da poco in italiano e scritto in francese da un intellettuale italiano che vive e insegna a Parigi, e che ha molta dimestichezza con i luoghi della globalizzazione politico-tecnologica, frequentati con l’acutezza di chi conosce le regole del gioco e osserva il tutto con competenza e lucido disincanto.

I predatori sono soprattutto quelli che hanno fatto saltare i vecchi equilibri: «Le nuove élite tecnologiche, i Musk e gli Zuckerberg» che «non hanno niente a che spartire con i tecnocrati di Davos». «La viralità prevale sulla verità e la velocità è al servizio del più forte». I nuovi conquistadores del digitale paiono stare ancora un po’ in disparte al tavolo della politica, ma si sentono superiori ai dinosauri che sono a capotavola. Certe aziende private sono diventate potenti come dei veri e propri Stati-nazione.

Non sorprenderà allora che da Empoli sciolga la sigla IA in «Intelligenza Autoritaria». In mano a pochi che «nella più totale opacità (…) cavalcano la tigre sperando di non esserne divorati».

Dicevamo del caos, con l’IA che se ne alimenta promettendo un nuovo ordine. Ma come l’invenzione della stampa a caratteri mobili ha favorito con il tempo lo sviluppo dell’illuminismo, l’avvento delle moderne democrazie e la scolarizzazione di massa, così l’IA promette in molto meno tempo un governo illuminato sulla base dei dati. Con un’incognita di non poco conto: «Affinché venga il regno dell’IA, è necessario sostituire la conoscenza con la fede». Per non parlare di chi prevede un’era postumana, che spazzerebbe via tutti, compresi i conquistadores apprendisti stregoni.

Gli «Asperger digitali» vanno tenuti sotto controllo, come l’evoluzione dell’IA, e per questo possiamo contare soprattutto sulla nostra cara Europa. Debole politicamente e militarmente fin che si vuole, ma un gigante culturale e una potenza economica che nessuno può trascurare. La Svizzera non ha interesse per nessun’altra scelta di campo (il che, a scanso di equivoci, non vuol dire dover entrare nell’UE) e se ne è ben accorta il primo d’agosto, quando le è stata fatta la festa con i dazi al 39%. La Swiss AI Initiative ha appena proposto il suo grande modello linguistico (LLM) Apertus, frutto della collaborazione fra EPFL, ETH di Zurigo e CSCS di Lugano. Non ha neanche lontanamente i mezzi di cui dispongono i colossi americani e cinesi, ma crescerà ed è democratico, plurilingue e trasparente: tre aggettivi su cui vale la pena scommettere e investire.