Il ricordo

Con coraggio «al servizio della gioia»

La prima immagine che il Ticino ebbe di don Ernesto Togni, appena nominato vescovo in quell’ormai lontano luglio del 1978, fu di un uomo sorpreso, emozionato fino al sudore davanti alle telecamere della TSI nell’intervista d’esordio
Giuseppe Zois
11.11.2022 19:30

La prima immagine che il Ticino ebbe di don Ernesto Togni, appena nominato vescovo in quell’ormai lontano luglio del 1978, fu di un uomo sorpreso, emozionato fino al sudore davanti alle telecamere della TSI nell’intervista d’esordio. Confesserà poi di aver pianto, di aver «avuto voglia di fuggire… sbattuto a riva da una improvvisa burrasca». Scegliendolo, Paolo VI gli aveva chiesto di «portare la croce». Don Ernesto avrebbe preferito continuare da parroco a Tenero-Contra. Pur con il cuore in subbuglio, scelse come suo motto episcopale un orizzonte splendido, in un certo senso una nuova frontiera: «Al servizio della vostra gioia». Quel vescovo, impaurito dal carico che gli veniva posto sulle spalle, si faceva interprete subito e comunque del desiderio, sconfinante con l’ansia, di portare sollievo alla gente.

Doveva continuare sulla strada in salita dell’applicazione del Concilio, ancora disattesa dopo più di mezzo secolo, con i fermenti del Sinodo diocesano. Obiettivo dichiarato e costante: essere un buon pastore vicino alla gente. E se lo impose. Sentiva forte «l’odore delle pecore» come metafora portata da papa Francesco. Aprì più porte che poté, ovunque e ne diede prova nella Visita pastorale che volle avviare e non riuscì a finire. Nelle parrocchie dove si recò, ha lasciato l’impronta del suo stile. Aveva un’attenzione per tutti, in particolare per gli anziani e i malati che «andava a trovare» a casa, portando speranza; comunicava d’istinto con i bambini; cantava con i giovani la sera dopo aver presentato la scommessa del Vangelo. Diventato prete con i buoni uffici di don Alfredo Leber, che avrebbe appianato qualche incertezza paterna, da vescovo gli toccò gestire la delicata e non facile successione del «capitano in clergyman» (copyright Piero Chiara), direttore sino alla fine del «Giornale del Popolo». Optò per Silvano Toppi, nome di sicuro prestigio con qualche contraccolpo in taluni ambienti conservatori, sia in ambito politico che ecclesiale. Memorabile resta un viaggio di Togni negli Stati Uniti, dove – nel 1982 – volle incontrare prima a New York, poi a San Francisco e Los Angeles, gli ultimi pionieri della lunga ondata dell’emigrazione ticinese e i loro figli e nipoti, gente ormai della seconda e terza generazione.

Provato nel fisico, con coerente coraggio fece il passo delle dimissioni (1985), ma non si chiamò fuori dal continuare la testimonianza di annuncio che assunse e portò fino alla più lontana parrocchia, da lui stesso creata, a Barranquilla, in Colombia. In una terra di missione non mancano certo i disagi, anche ambientali: anche lì diffuse con don Emilio Conrad la sua idea gioiosa della «Buona Notizia», seminata poi nel Ticino fino al tempo ultimo tra gli anziani della «Cinque Fonti» a San Nazzaro. Nel suo saluto da neo-vescovo c’era già lo sguardo allungato sulla fine, e sulla «misericordia di Gesù nel giudizio». Che certo gli capitalizzerà le non poche incomprensioni e amarezze avute. Adesso è nella «gioia» predicata. Curioso destino: è morto nello stesso giorno di don Leber.