Dalla lezione di Plinio Martini può ripartire l’atteso riscatto

Durante la pandemia non passava giorno senza sentire ripetere la stessa frase: «Quanto accaduto ha cambiato per sempre i nostri parametri, il senso della quotidianità, il nostro modo di abitare e vivere il lavoro. Una risposta a questo potrebbe essere ripopolare le valli dove è presente un costante invecchiamento della popolazione. E nel contempo far rivivere le case abbandonate, ritrovare la gioia di avere un giardino, e poter lavorare da casa». Ripresa la normalità questa idea un po’ romantica si è progressivamente spenta.
I paesi delle valli hanno continuato a perdere abitanti (non tutti per la verità) e l’ipotesi di dirottare investimenti per sovrastrutture, servizi, abitazioni, marketing territoriale capace di attirare imprese, per far nascere associazioni e gruppi sportivi legati al territorio, si è lentamente annacquata.
A cento anni dalla nascita di Plinio Martini, varrebbe la pena riprendere in mano la sua eredità sociale e civile e riflettere in maniera approfondita sulle valli, spogliando tuttavia il dibattito da sentimenti intrisi di nostalgia (che pure sono preziosi) o riducendo tutto a souvenir buoni per i turisti. È arrivato il tempo di guardare la realtà per quella che è. Una realtà fatta di aree che restano storicamente periferiche e che invece potrebbero diventare laboratori di riscatto e di sviluppo. Perché, grazie a studi, ricerche e master-plan, non è che non si sappia cosa fare, come intervenire, dove andare chirurgicamente a iniettare soldi. Eppure la situazione cambia poco.
La verità è che le valli si rianimano se lì si porta il lavoro. Voltandosi indietro emerge un esempio interessante, quello della Leventina quando c’era la Monteforno (e altre industrie che poi hanno chiuso o ridotto l’attività). Grazie a tutto ciò che ha ruotato attorno all’acciaieria di Bodio allora era cresciuto il mercato immobiliare, le iniziative sociali, erano nati negozi (ricordate l’Innovazione di Airolo?), servizi e anche la rete di trasporti si era allargata.
La Monteforno ha rappresentato per tante famiglie anche un ascensore sociale e per il Ticino un esempio di integrazione. Poi, dopo l’ultima colata nello stabilimento di Giornico del gennaio 1995, ha raccontato un ex operaio, «è come se nella valle si fosse spenta la luce».
La Domenica da questo numero prova a capire cosa è successo nelle nostre valli, cosa pensa chi ci vive, chi è tornato per scelta o per una questione di affetto e di famiglia, chi fa il pendolare. E anche perché, stanchi di promesse e senza più stimoli, diversi sono andati via.