Il commento

Dalle stelle alle stalle

Un lungo articolo sul Wall Street Journal, due colonne sul Financial Times, con il conseguente can-can mediatico, hanno demolito in pochi giorni tutto quanto Klaus Schwab con genialità ed impegno ha fatto in una vita di lavoro
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
02.05.2025 06:00

Capita a chi è molto noto e gode di stima sociale. È il caso di Klaus Schwab, ideatore, fondatore e organizzatore del WEF (World Economic Forum) noto come il «Forum di Davos».

Una geniale idea che è riuscita a riunire anno dopo anno governanti, dirigenti dell’economia, esponenti del mondo culturale, vale a dire quelli che contano e decidono. Davos è diventata per loro una tribuna dalla quale parlano al mondo e una utilissima occasione per ritrovarsi senza restrizioni protocollari, per conoscersi e parlarsi.

Il tutto con un ritorno d’immagine anche per la Svizzera che durante la settimana degli incontri viene menzionata dai media del mondo.

Klaus Schwab è un genio nel campo del marketing (complimento che non gradisce) e delle relazioni pubbliche. È stato ricevuto da tutti coloro che nel mondo contano. Ci tiene però ad essere considerato un intellettuale, e lo è, anche se si è montato un po’ la testa volendo passare per un «maitre à penser». È una di quelle persone dall’espressione sempre seriosa e corrucciata, che sembrano voler farsi carico di tutti i problemi del mondo.

Un lungo articolo sul Wall Street Journal, due colonne sul Financial Times, con il conseguente can-can mediatico, hanno demolito in pochi giorni tutto quanto l’uomo con genialità ed impegno ha fatto in una vita di lavoro.

Non conta se le accuse verranno dimostrate o meno, anche se non lo fossero il danno è fatto ed è irreversibile. Il tutto nasce da una lettera anonima che accusa Schwab di essersi fatto pagare un massaggio (pare rimborsato), la moglie di occupare talvolta una villa della Fondazione, e oltre a ciò di condotta poco etica per non aver dato il rilievo dovuto a lamentele di dipendenti per atteggiamenti inaccettabili nell’azienda.

Tutte accuse che Schwab contesta.

Da dove vengono le accuse? Da una lettera anonima e già questo non mi piace. Ai miei tempi le lettere anonime finivano nel cestino della carta, oggi sono di moda ed applauditi i «whistleblower» che, al riparo dell’anonimato, che permette di non assumere la responsabilità delle accuse, denunciano il «potere» ed i suoi esponenti. Che poi alla denuncia contribuiscano, grazie all’impunità, rancori, sentimenti di vendetta, malanimo non conta. Secondo le regole del gioco oggi imperanti, tra le quali la paura nei confronti di un’opinione pubblica che non si osa contestare, il Consiglio di Fondazione ha messo in stato d’accusa Schwab e si è rifiutato di sentirlo. Che una struttura da lui inventata e diretta durante una vita, che fa una cifra d’affari di 400 milioni di dollari annui, persegua il suo fondatore per un massaggio non pagato (circostanza negata) o per l’occasionale utilizzo di una villa (acquisita con i soldi da lui originati) lo trovo meschino e inutilmente umiliante il rifiuto di ascoltarlo. L’inchiesta darà la risposta, ma l’atteggiamento dell’accusa, basata su una lettera anonima, è già una sentenza.

Dico tutto questo a proposito di Klaus Schwab, che con i suoi atteggiamenti e un po’ di puzza sotto il naso non mi è mai stato simpatico. Schwab l’ho criticato in passato pubblicamente per altre ragioni, per la grossa responsabilità di aver orientato e giustificato, tramite i convegni di Davos, quella forma di capitalismo ondivago che si illude di potersi salvare e continuare la propria attività dimostrandosi progressista, aperto anche alle più pericolose opinioni sostenute dal progressismo di sinistra.

Non voglio ripetere quello che ho scritto denunciando il pericolo costituito dall’aderenza a mode che si è permesso sostituissero le convinzioni ed i valori. In tal modo si è imposto alle attività economiche oneri che limitano l’efficienza e la produttività, in contraddizione frontale con gli insegnamenti del Nobel Milton Friedman, che spiega come lo scopo delle aziende sia quello di fare utili, creare ricchezza, senza la quale la socialità non è finanziabile.

L’attività imprenditoriale deve avvenire nel rispetto della legge ed è controllabile. Vi sono altre legittime esigenze, ma queste appartengono ad altre sfere sociali e sono da affrontare diversamente. Seguendo la moda di allora Schwab ha imposto a Davos una quindicenne, Greta Thunberg, oggi scomparsa dalla scena perché non fa più notizia e non è più utile a chi le organizzava lo show della tenda per vivere a Davos e il passaggio in barca a vela dell’Atlantico molto più costoso ed inquinante di un posto in un aereo di linea su quella tratta.

L’aria, reagendo agli eccessi, specie negli USA, è cambiata e di conseguenza gli ondivaghi capitalisti cambiano atteggiamento e le mode ESG (Environmental, Social, and Governance) vengono abbandonate anche da Larry Fink e compagni. Se dietro tutte le critiche per i comportamenti di Schwab ci fosse una lotta di potere sarebbe ancor più triste, utilizzare un massaggio ed evitare di dibattere sull’indirizzo è espressione di declino.

Speriamo non si debba concludere che l’operazione è riuscita ma il paziente (il Forum di Davos) è morto.