Taca la bala

Dimenticare le bandiere

Sarebbe necessaria una profonda riflessione del mondo sportivo sul nazionalismo sempre più dilagante nella competizione
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
08.09.2023 00:00

Quanto tempo ancora sarà necessario per riuscire a spoliticizzare lo sport, quel settore dell’attività pubblica che, nonostante le evidenze, qualcuno si ostina a volerci presentare come indipendente rispetto alle decisioni politiche?

Quanto tempo ancora sarà necessario per fare pulizia all’interno di federazioni corrotte e lascive, incapaci di conciliare i loro interessi con quelli di una pratica, quella sportiva per l’appunto, che dovrebbe ispirarsi a valori fondamentali come la lealtà, l’onestà e il rispetto? Non siamo così ingenui da pensare che qualcuno abbia la risposta pronta a questi interrogativi. O forse sì: la risposta è semplicemente «mai». Perché lo sport business genera interessi economici enormi e riflette la potenza delle nazioni e dei loro governanti, tanto più interessati alla gloria prodotta dalla competizione sportiva quanto più calpestano in patria i diritti dei loro cittadini.

Ma stiamo attenti: non è che le democrazie siano indifferenti di fronte al potere delle medaglie e delle vittorie. Basta leggere le dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron rilasciate in un’intervista al quotidiano sportivo «L’Equipe» per averne un’idea. Lo Stato francese ha praticamente raddoppiato i contributi all’Agenzia nazionale dello sport in vista delle Olimpiadi e dei Giochi paralimpici che si terranno l’anno prossimo a Parigi, portandoli da 160 a 300 milioni di euro. E a precisa domanda se il Presidente ha sempre come traguardo quello di entrare nel top 5 del medagliere delle nazioni, Macron risponde «Non bisogna mai abbassare i propri obiettivi. In ogni caso, non abbiamo mai investito così tanti soldi nello sport di alto livello». Poi naturalmente qualcuno scenderà in campo per convincerci che quegli investimenti faranno da traino a tanti fattori, genereranno benessere per tutte la fasce della popolazione, stimoleranno i giovani a fare sport. E noi, di fronte al parere di un rosario infinito di esperti certificati da università di cui non abbiamo mai sentito parlare, finiremo anche per crederci.

In vista di Parigi 2024 tiene banco anche un’altra questione, che riguarda gli atleti russi: ammetterli o no ai Giochi? Fuori discussione la presenza ufficiale di una squadra russa con la propria bandiera, sarebbe giusto far gareggiare quegli sportivi a titolo individuale? Che ruolo hanno in patria questi atleti? Sono vittime o complici del regime? Fino a che punto possono eventualmente smarcarsi dalle convinzioni di Putin senza mettere a repentaglio la loro vita o quella dei loro familiari?

Forse la risposta dovrebbe venire da una profonda riflessione del mondo sportivo sul nazionalismo sempre più dilagante nella competizione. Sarei felice se qualche atleta capisse che quando gareggia rappresenta prima di tutto se stesso e si liberasse del fastidio di portarsi sulla schiena la bandiera nazionale.

Al di là della questione legata alla partecipazione degli atleti russi ai Giochi, ce ne sono altre, molte, non meno di attualità.

Perché la Federazione internazionale di sollevamento pesi non bandisce l’Iran dalle competizioni, dopo che lo stato degli ayatollah ha squalificato a vita un suo atleta, semplicemente perché costui, tale Mostafa Rajaei, secondo classificato ad un Mondiale Master, s’è permesso di stringere la mano e farsi fotografare assieme al terzo classificato, un atleta israeliano? Non solo, ma il capo delegazione iraniano a quei Mondiali è stato rimosso dal suo incarico e il comitato federale della sezioni veterani è stato sciolto. L’Iran però, ai Giochi del prossimo anno ci sarà. Scommettiamo?