Dio e i suoi interpreti

Una delle caratteristiche dei testi sacri - dall’Antico Testamento ai Vangeli al Corano - è che possono prestarsi a innumerevoli interpretazioni. Non a caso l’Antico Testamento è fittamente «interpretato» dal Talmud e il Corano attraverso il sopporto degli Hadith (detti e fatti del Profeta). Si può quindi sostenere, come affermano alcuni studiosi, che ogni libro sacro sarebbe a rigore «l’interpretazione che se ne dà». La storia confermerebbe tale posizione: in nome di questo o quel Dio, si è predicata allo stesso modo la pace o la guerra, l’amore o lo sterminio. Una simile «individualizzazione» della lettura dei testi sacri vale d’altronde anche per capisaldi della politica come il «Capitale» o il «Libretto Rosso»: la lettura stalinista non coincise evidentemente se non in parte con il messaggio di Marx, e in nome di Mao si commisero, oltre ad azioni encomiabili, crimini non poco efferati.
Verrebbe da dire, con Socrate e Gesù: meglio non lasciare niente di scritto. Ogni parola scritta diventa infatti Legge e ogni Legge ha i suoi umani, troppo umani interpreti. Meglio vivere, come evidenziava Nietzsche, fuori da ogni istituzione di potere: in caso contrario ogni «chiesa» tradisce il suo ispiratore. In questo periodo di «antagonismi estremi», il problema torna a riproporsi, per esempio tra l’ebraismo sionista e l’ebraismo antisionista. A quale Dio dobbiamo dare la palma della verità? A quello che nel Levitico invita Mosé alla concordia dicendo «Lo straniero che risiede tra voi sia per voi come uno nato tra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto» o a quello che nel libro omonimo esorta Giosué ad affermare che la città di Gerico «sarà votata allo sterminio, essa e tutto ciò che è in essa»? Come conciliare le due posizioni? Come non indovinare una contraddizione tra «vivere da straniero tra gli stranieri» e «passare a fil di spada uomini e donne, fanciulli e vecchi, e persino buoi, pecore e asini»? La risposta è nei fatti: la contraddizione è nell’ordine delle cose umane. E forse, per non incorrere in eccessivi equivoci, bisognerebbe davvero rassegnarsi al fatto che la Verità, semplicemente, non esiste. E ogni volta che si pretende di farla propria, in realtà, la si tradisce. O per meglio dire: la Verità è nella vita di ciascuno, nei suoi atti, nella sua concreta esistenza, nella sua coerenza umana. E probabilmente rimane esemplare proprio per ciò che riuscì a essere a prescindere da chi poi la tramutò in Legge. Gesù Cristo e Buddha, per esempio: quanti loro «eredi» realmente vi assomigliano?

