Dobbiamo aprire quella porta?

di MORENO BERNASCONI - La diagnosi preimpianto (DPI) degli embrioni fertilizzati in vitro rappresenta un cambio di paradigma di vasta portata nel campo delle manipolazioni della vita umana. A dimostrarlo basta il saggio del grande filosofo liberale Jürgen Habermas, scritto quando il tema è diventato d'attualità in Germania («Die Zukunft der menschlichen Natur. Auf den Weg zu einer liberalen Eugenetik?», 2001). L'oggetto in votazione il 14 giugno merita quindi una riflessione che illustri la diversità/novità della posta in gioco rispetto a precedenti dibattiti sull'interruzione della gravidanza, l'inseminazione artificiale o la fertilizzazione in vitro senza DPI. Rispetto al dibattito sull'aborto, che doveva conciliare autodeterminazione della donna e tutela dell'embrione, o a quello sull'inseminazione/fertilizzazione artificiale, in cui la terapia contro la sterilità è l'aspetto essenziale, la diagnosi preimpianto (seppure eseguita nell'ambito di interventi che si vogliono terapeutici) è un'operazione selettiva su un numero elevato di embrioni umani, dalla cui qualità dipende se scartarli, svilupparli o crioconservarli per bisogni futuri. Da qui la domanda di Habermas: stiamo aprendo le porte all'eugenetica? Oggi, in Svizzera, la legge proibisce la diagnosi preimpianto. L'articolo 119, cp 2, lett. C della Costituzione precisa che «fuori dal corpo della donna possono essere sviluppati solo tanti oociti quanti se ne possono trapiantare immediatamente» (vale a dire tre). Giacché per eseguire la DPI è necessario disporre di un numero di embrioni superiore, Governo e Parlamento propongono anzitutto di modificare la Costituzione come segue: «Fuori del corpo della donna può essere sviluppato in embrioni soltanto il numero di oociti umani necessario ai fini della procreazione assistita». Dopodiché, una modifica della Legge sulla medicina della procreazione già adottata dalle Camere (sottoposta a referendum facoltativo) farà cadere anche il divieto della DPI. Interessanti le differenze fra l'articolo costituzionale attuale e quello proposto. Nel primo, l'accento è posto sull'obiettivo del trasferimento immediato degli embrioni nel grembo materno. In forza del principio di precauzione, si vuole evitare assolutamente la produzione di embrioni soprannumerari disponibili fuori dal grembo materno. Il nuovo articolo lascia invece più spazio di manovra e abbassa de facto la soglia di protezione degli embrioni. La legge autorizzerà infatti lo sviluppo di 12 embrioni (il Nazionale voleva eliminare la soglia ma ha dovuto scendere a patti con gli Stati) e permetterà la crioconservazione di embrioni. Per sgombrare il campo da ogni amalgama, precisiamo che la Costituzione modificata e la futura legge continuerebbero a proibire selezioni volte a predeterminare il sesso o altre caratteristiche fisiche. Neppure si potranno selezionare embrioni in grado di donare cellule staminali a fratelli gravemente malati. Il ricorso alla DPI sarà inoltre limitato alle coppie portatrici di gravi malattie ereditarie e a quelle che non possono avere figli naturalmente. Il Governo avrebbe voluto limitare il ricorso alla DPI unicamente nei casi di gravi malattie ereditarie. Il Parlamento ha invece esteso il campo a tutte le coppie che ricorrono alla fertilizzazione in vitro. Il CF precisa che ciò «permetterà di selezionare gli embrioni che presentano buone probabilità di svilupparsi» rispetto agli altri. Questa estensione del campo di applicazione – che tra l'altro consentirà di depistare malattie a comparsa casuale come la sindrome di down – mostra bene come l'aspetto selettivo, da intervento animato solo da ragioni terapeutiche, possa trasformarsi in intervento anche migliorativo. Habermas fa notare acutamente che «nella diagnosi di preimpianto risulta difficile rispettare i confini che separano l'eliminazione di predisposizioni genetiche indesiderate dalla ottimizzazione di predisposizioni desiderabili. Quando si ha a disposizione più di un unico embrione non siamo più costretti a decidere secondo un codice binario sì/no. Il confine concettuale tra il prevenire la nascita di un bambino gravemente malato e la decisione eugenetica di migliorare il patrimonio ereditario non è più tracciabile con chiarezza». Proprio per questo, l'eccezionalità del ricorso alla DPI solo in caso di gravi malformazioni ereditarie propugnata dal Governo era importante. Togliendo di mezzo l'eccezionalità di una pratica limitata a casi molto rari e giustificati (100 all'anno su 6.000), il Parlamento ha indebolito il confine fra intervento terapeutico e migliorativo. Un confine vieppiù minacciato da filosofi che fanno opinione come Nicholas Agar e Peter Singer, i quali – annota Habermas – «eliminano ogni differenza fra interventi terapeutici e interventi migliorativi e lasciano alle preferenze individuali degli utenti del mercato il compito di definire gli obiettivi degli interventi correttivi» (cfr. N. Agar, «Liberal Eugenics», London 2000). Mi si dirà che in Svizzera non siamo ancora lì e che nella Costituzione e nella futura legge sono precisate le pratiche migliorative non ammesse. Vero. Ma se la DPI deve «permettere di selezionare gli embrioni che presentano buone probabilità di svilupparsi», per quale ragione bisognerebbe poi rinunciare a scegliere, fra i dodici prelevati, il migliore da tutti i punti di vista? In un campo così gravido di conseguenze sociali e culturali come quello della manipolazione da parte dei viventi della vita degli uomini venturi (si vedano le considerazioni di Hans Jonas in «Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità»), il principio di precauzione avrebbe dovuto spingere il Parlamento ad assegnare alla DPI lo statuto di eccezionalità che il Governo proponeva. Non ha voluto farlo. E ciò pesa sull'opportunità oppure no di aprire quella porta.