La polemica

Donna, oppure donna (anta) in carriera?

Molto si è detto sull'intervento della stilista Elisabetta Franchi che assume «solo donne che hanno già fatto il giro di boa» e per difendersi aggiunge «io sono mamma»
Jenny Covelli
11.05.2022 11:00

Sì, lo sappiamo, siamo «in ritardo». Ma la polemica si trascina, quindi perché no? Stiamo parlando del discorso di Elisabetta Franchi all’evento «Donne e moda: il barometro 2022», organizzato il 4 maggio da PwC Italia e Il Foglio della Moda per «scoprire quanto e come sia cambiato il lavoro femminile nella moda analizzando la tipologia di mansioni ricoperte dalle donne nelle aziende e la rappresentanza nei ruoli apicali». Un breve riassunto, per chi se lo fosse perso.

«Nella mia azienda l'80% sono donne» è stata la premessa di Elisabetta Franchi. Che però, poi, «da imprenditore» ha ammesso: «Quando metti una donna in una carica importante, non ti puoi permettere di non vederla per due anni». Quindi la parte più «succosa», che ha scatenato le critiche: «Io le donne le ho messe, ma sono anta. Comunque ancora ragazze, ma se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano fare figli li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello. Diciamo che io le prendo che hanno già fatto i quattro giri di boa. Sono lì, belle tranquille, al mio fianco e lavorano h 24. Cosa che gli uomini non fanno». E ancora: «Mi sono accertata che siano anta. Perché hai fatto i giri di boa, sei libera, hai meno sensi di colpa».

E qui è scoppiata la bufera social. La rete non ha risparmiato parole dure nei confronti della stilista. Qualcuno le ha dato della «schiavista», altri hanno invitato a boicottarla, alcune donne hanno ribadito che «non è una colpa avere l'utero». Dall'altro lato, c'è chi ha detto che «l'azienda è sua e può assumere chi vuole». Selvaggia Lucarelli, tra le altre cose, ha postato un estratto dal film di Checco Zalone, Sole a catinelle, di cui oggi l'intervento di Elisabetta Franchi appare quasi come uno sketch nello sketch : «Tu mi hai parlato di lavoro femminile, ma te non dici che io imprenditore assumo una donna e, se questa il marito la mette incinta, io devo pagare gli assegni familiari, io devo sostituirla, io devo pagare la formazione a chi la sostituisce. Io devo reintegrare, io devo riformare. Operaia, te vuoi andare incinta? La botta te la do io, che sono il datore di lavoro». Grottesco, ma mica troppo.

Non vogliamo sprofondare in facili moralismi. Piuttosto, guardare in faccia alla realtà: per le donne, quando vogliono spingere sulla carriera, diventare madre è per forza di cose una scelta alternativa. Ragionamento che non viene richiesto a chi intende diventare papà. Elisabetta Franchi ha «semplicemente» espresso ad alta voce, e (sembra) senza vergognarsene, quello che è il pensiero di molti imprenditori, aziende e datori di lavoro. «Se ti assumo e poi tu resti incinta, a me rimane un buco. Devo pagarti la maternità, sostituirti, formare qualcuno, e poi riprenderti nonostante tu abbia "perso il ritmo"». Uno sfondone, non c'è che dire, soprattutto se prounciato (proprio) da una donna. Ma un'amara verità. Spesso non dichiarata, ma messa in atto allo stesso identico modo.

Perché allora, invece di (solo) indignarsi contro la stilista e commentare online, non si cerca e si innesca il cambiamento? Si tratta di tutela della donna, di pari considerazione nei confronti della genitorialità, di conciliabilità famiglia-lavoro (anche per gli uomini), di congedi per «il genitore», mamma o papà che sia. Ma, prima di tutto, di un'evoluzione anche culturale. Chi l'ha detto che debba essere la donna a restare a casa a occuparsi dei figli? E basta con questi «mammo», sono papà. Dire «che carino» di un uomo che resta a casa dal lavoro perché il bimbo è malato, non può diventare dall'altra parte «e la mamma dov'è?». I ruoli di genitore1 e genitore2, giusto per citarne una, dovrebbero essere paritari. Solo allora l'Elisabetta Franchi di turno, l'imprenditore, non si porrà alcuna domanda di fronte a due persone di sesso diverso con uguali capacità, prima di assumerne uno. E solo allora una donna non sarà costretta a scegliere se «realizzarsi» nel lavoro oppure nella famiglia.

Poi, per carità, le scempiaggini come «io ho fatto due tagli cesarei programmati e dopo due giorni ero al lavoro con i punti che mi dolevano» e «i figli mi piacciono e me li sono fatti e il weekend sto con loro e mi diverto» probabilmente resteranno. Così come i vari cliché stile «noi donne abbiamo il dovere che è nel nostro DNA, i figli li facciamo noi e il camino in casa lo accendiamo noi», «gli uomini sono bambinoni, mammoni, e non vogliono crescere mai» e, il più bello, «ai ragazzi di oggi la parola "sacrificio" non piace». Ma tant'è.

A onor di cronaca è giusto menzionare che, lunedì, Elisabetta Franchi ha voluto chiarire la sua posizione. «Sono da sempre con le donne e a sostegno delle donne lavoratrici. Lavorare nel mondo della moda richiede disponibilità, reperibilità, ritmi serrati, dedizione e spesso tutto ciò coincide con grandi rinunce riguardo alla propria sfera privata». Quindi, «i fatti: nella mia azienda su 300 dipendenti, l'80% sono donne, di cui la maggioranza è under 40, e le donne manager sono il doppio degli uomini. In sostanza ho assunto più donne che uomini e per la maggior parte giovani». Con tanto di grafici: 301 dipendenti in totale, di cui 64 uomini (21%) e 237 donne (79%). Di queste ultime, 129 (54%) hanno meno di 40 anni, 108 (46%) sono over o, come le chiama lei, anta. Infine, 22 manager donne, 10 manager uomini; 189 impiegate donne, 26 impiegati uomini; 26 operaie donne, 28 operai uomini. Qualcuno, tra i commenti, ha azzardato: «64 uomini di cui 10 manager (15%). 237 donne di cui 22 manager (8%). E mancano i dati del top management».