Il commento

Due fronti, tanti astenuti, pochi spazi di decisione

Il «partito degli astenuti» rischia di risultare primo alle votazioni in calendario in Italia la prossima domenica 25 settembre
Robi Ronza
Robi Ronza
19.09.2022 06:00

Il «partito degli astenuti» rischia di risultare primo alle votazioni in calendario in Italia la prossima domenica 25 settembre. Dai sondaggi risulta infatti che il 35 per cento circa degli iscritti in catalogo non ha intenzione di votare. Si tratta soprattutto di giovani e di poveri di ogni età, particolarmente numerosi al Sud, convinti che i partiti fanno quello che vogliono, che il voto non influisca sul loro potere e che i parlamentari (che in Italia sono ben stipendiati) siano dei mangiapane a tradimento. Era anche con il proposito di venire incontro a chi li considerava troppo numerosi che il Parlamento oggi sciolto nel 2020 votò una legge costituzionale con cui si stabilisce la riduzione dei deputati da 630 a 400 e dei senatori elettivi da 315 a 200. Il gesto coraggioso, con il quale molti parlamentari uscenti si sono preclusi la possibilità di venire rieletti, a quanto pare non è però bastato a ridurre il «partito degli astenuti», che adesso si sta delineando come più forte che mai. Si tratterà poi di vedere se, alla prova dei fatti, almeno una parte di quelli che adesso dichiarano di volersi astenere confermerà con i fatti questa decisione. Che cosa si offre comunque a chi andrà a votare? In primo luogo due maggiori coalizioni, una cosiddetta di centrosinistra, il cui principale partito è il PD di Enrico Letta, che punta in ogni settore a risolvere i problemi con un maggiore intervento dello Stato, e un’altra cosiddetta di centrodestra di orientamento liberale, i cui partiti maggiori sono, in ordine di attuali consensi, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, la Lega di Matteo Salvini, Forza Italia di Silvio Berlusconi e Noi Moderati, un aggregato di notabili di varia estrazione da Maurizio Lupi a Vittorio Sgarbi. Le due coalizioni non sono però sole in campo. In particolare il centrosinistra subisce la concorrenza dei 5 Stelle, guidati da Giuseppe Conte, mentre un’alleanza di Carlo Calenda e di Matteo Renzi, che si definisce «Terzo Polo», mira a raccogliere tanti voti quanto gliene basterebbero per condizionare quella delle due coalizioni che dovesse conquistare la maggioranza, ossia molto probabilmente il centrodestra. Il «Terzo Polo» fa riferimento all’Agenda Draghi, ossia le riforme cui l’Italia con Mario Draghi si è impegnata nel luglio scorso quando la Commissione europea le assegnò ingenti aiuti. Propone perciò che come premier resti Draghi, il quale tuttavia in proposito non si esprime. Il ruolo di partito anti-sistema, che in un passato recente era del Movimento 5 Stelle, viene questa volta ricoperto da Italexit per l’Italia, una formazione fondata nel 2020 dal senatore varesino Gianluigi Paragone, a suo tempo entrato in politica sotto l’egida della Lega Nord, più tardi dapprima eletto in Parlamento e poi espulso dai 5 Stelle. Italexit si pone come casa politica di un sottobosco ribollente di scontenti di ogni cosa. Come andrà a finire? La quasi totalità degli osservatori ritiene che dalle votazioni del 25 settembre uscirà vincitrice la coalizione di centrodestra, di fatto oggi guidata da Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Resta il dubbio sull’entità della vittoria e quindi della misura in cui punti importanti del suo programma liberale potrebbero venire condizionati da un eventuale alleato. Incombe inoltre la Commissione europea, che da qualche anno sempre più si atteggia a governo dell’Unione benché non ne abbia titolo. Il vertice dell’Unione europea a norma dei trattati è il Consiglio europeo, ossia l’assemblea dei capi di Governo degli Stati membri, ma ormai viene sommerso dalla Commissione, in cui è grande l’influsso della Germania. Avrebbe dei compiti limitati, ma li travalica regolarmente senza incontrare alcuna seria opposizione. In tale prospettiva, assumendosi così compiti politici che sarebbero del Consiglio, fissa d’autorità obiettivi e impegni degli Stati membri, in particolare di quelli che, come l’Italia, si trovano a ricevere aiuti dall’Unione. Resta perciò da vedere quale spazio di decisione resti al prossimo governo italiano, qualunque esso sarà, con tutti gli impegni che si sono presi con la Commissione.