L'editoriale

Due nemici e un'unica soluzione: il dialogo

Mentre il conflitto si intensifica, l'incontro tra Putin e Zelensky sembra l’unica via per cercare di raggiungere, se non una pace, almeno una tregua
Paride Pelli
24.03.2022 06:00

Mentre gli osservatori internazionali considerano un incontro tra i due Presidenti l’unica via per cercare di raggiungere, se non una pace, almeno una tregua nella guerra fratricida che si sta combattendo senza soste in Ucraina, rimane sospesa la domanda se davvero Vladimir Putin abbia interesse a incontrare Volodymyr Zelensky e se tale summit possa svolgersi in tempi utili per scongiurare un irrefrenabile aumento di morti e feriti e una pericolosissima deriva nell’uso di armi micidiali. In questa fase di progressiva intensificazione del conflitto, ogni giorno emerge in modo sempre più chiaro e inequivocabile la profonda divergenza, anche nella gestione della diplomazia e della comunicazione interna ed esterna, tra Mosca e Kiev. Se da un lato, quello degli stucchi dorati del Cremlino, Putin continua a presentarsi e a parlare prediligendo intorno a sé i simboli del potere e della forza, dall’altro Zelensky ha sdoganato e sta praticando un modo di gran lunga più «pop» e accattivante di lanciare dichiarazioni e messaggi. Forte, in questo, dei suoi trascorsi professionali di attore comico del piccolo schermo. La sottile ironia che spesso si percepisce nelle apparizioni video di Zelensky è di natura schiettamente televisiva. È, quella del presidente ucraino, non solo una comunicazione ma pure una presenza scenica agli antipodi rispetto a quella di Putin: dagli eleganti e costosi giacconi indossati dal leader del Cremlino, alla tuta mimetica o alla T-shirt militare di Zelensky, il passo potrebbe apparire breve quanto studiato, ma non lo è. Il coraggio del presidente ucraino, che si mostra insieme ai suoi soldati e alla sua gente sotto assedio, senza timore, è di caratura diversa rispetto a quello del suo omologo russo, che sembra vivere e agire in una torre d’avorio, mantenendo una surreale lontananza fisica dai suoi interlocutori, siano essi collaboratori, militari, ministri o il proprio stesso popolo. Si sono date svariate spiegazioni di questo comportamento, dalla paura per un possibile contagio (ricordiamoci che la pandemia non è finita, né in Russia né altrove) fino alla volontà di mettere in soggezione la controparte. Zelensky, invece, attraverso i suoi discorsi a distanza sta incassando la fiducia, a parole almeno, dei Governi occidentali. Da quando è scoppiata la guerra, è intervenuto via internet al Congresso americano, al Bundestag tedesco, alla Camera dei Comuni britannica e, ieri l’altro, alle Camere italiane riunite: una strategia di prossimità, sebbene solo virtuale, che ha permesso all’Ucraina di ricevere solidarietà, aiuti e sostegni da tutti questi Paesi e che ha portato a Zelensky un’incredibile popolarità, rafforzata da un utilizzo invidiabile dei social media. Ma quello che più colpisce, nella condotta di Zelensky, è che sia rimasto a presidiare la capitale della sua nazione ormai devastata tra il sibilo e le deflagrazioni dei razzi, rischiando lui stesso la vita. Malgrado il suo censurabile tentativo di paragonare la tragedia ucraina all’Olocausto - immemore che la stessa Ucraina nella sua storia ha attuato, e più volte, persecuzioni antisemite – è riuscito a fare quadrato intorno a sé anche grazie al semplice ma audace fatto di non essersi dato alla fuga. Un gesto che ha convinto, forse più di tanti altri, i cittadini e i leader dell’Europa, che si trovano ora schierati apertamente con Kiev. Alleanze importanti, che non possono e non devono però far perdere di vista a Zelensky e a tutto l’Occidente il passo più importante ancora da compiere: l’incontro con Putin. Solo da lì potrà arrivare un raggio di sole. Che i due presidenti si guardino negli occhi o attraverso una videocamera, che si stringano o meno la mano, sarà sempre meglio, per tutti noi, che dialoghino con le parole piuttosto che con le bombe.

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