È tutto oro quello che luccica?

Nel secondo trimestre del 2025, il settore dei metalli preziosi ha proseguito la sua corsa alimentata da un contesto economico e geopolitico altamente instabile. L’oro, ancora una volta protagonista assoluto, ha mantenuto livelli storicamente elevati dopo aver raggiunto il picco di 3.500 dollari l’oncia il 22 aprile, consolidandosi oltre i 3.300 dollari nelle settimane successive. L’argento e il platino hanno beneficiato della scia positiva, mentre il palladio è rimasto sottotono a causa della debolezza della domanda industriale. L’escalation del conflitto tra Israele e Iran, esploso a metà giugno, ha ulteriormente rafforzato l’appeal dell’oro come bene rifugio. Durante il primo trimestre, l’oro aveva già registrato un aumento eccezionale del 19%, chiudendo a 3.118 US $ per oncia, sostenuto dalle politiche tariffarie dell’amministrazione Trump e da vendite massicce sui mercati azionari e obbligazionari USA. Il secondo trimestre ha visto una maggiore stabilizzazione dei prezzi, ma anche una più ampia partecipazione degli investitori istituzionali: i flussi netti nei fondi ETP sull’oro sono stati i più alti dal Q1 2022. Anche le banche centrali hanno continuato ad acquistare oro con decisione, con un totale stimato di oltre mille tonnellate previste per l’intero 2025, confermando il trend di de-dollarizzazione che era già stato percepito nel 2022.
Ma il secondo trimestre ha visto una contrazione nella domanda nel comparto gioielleria, in particolare in Cina e India, dove il rialzo dei prezzi e l’erosione del potere d’acquisto hanno spinto i consumatori verso prodotti più “leggeri” o alternativi in termini di investimento come lingotti e monete. La domanda globale di gioielleria è dunque scesa del 21% anno su anno nel Q1, e le prospettive per il Q2 confermano un andamento del tutto simile. Non avendo il dono della preveggenza registriamo però un sentiment degli investitori generalmente positivo per l’oro, soprattutto in previsione di tagli ai tassi da parte della Federal Reserve, attesi come risposta a una crescita economica rallentata e a segnali di stagflazione. Questi tagli dovrebbero concorrere alla riduzione del costo di acquisto e di detenzione dell’oro, sostenendone così ulteriormente la domanda. Nel breve termine riteniamo che l’offerta resterà contenuta: la produzione mineraria crescerà solo marginalmente (+2% nel 2025), mentre il riciclo sarà frenato dalla scarsità di scorte e dalla riluttanza dei detentori a vendere in un contesto incerto. Questo equilibrio instabile tra domanda e offerta sostiene le previsioni rialziste per il prossimo semestre, in cui l’oro potrebbe mantenersi sopra i 3.200 US $ per oncia, pur con possibili episodi di volatilità in risposta a eventi macro globali e a nuovi sviluppi del conflitto israelo-iraniano.
Registrata questa percezione, dobbiamo però immaginare, dalla seconda metà del 2026, una graduale discesa del prezzo dell’oro, che alcuni analisti calcolano fino a 2.910 US $ per oncia nel 2029, man mano che il ciclo politico USA porterà maggiore chiarezza, l’inflazione inizierà a stabilizzarsi e gli investitori torneranno a puntare su asset più rischiosi come le azioni.
Il secondo trimestre 2025 sta confermando il ruolo dei metalli preziosi – e dell’oro in particolare – come bene rifugio per eccellenza. Le prospettive per il secondo semestre dell’anno restano favorevoli, anche se in un contesto complesso, dove geopolitica, politiche monetarie e asset allocation continueranno ad avere un ruolo cruciale. Gli investitori credo si muoveranno tra il rischio di correzioni tecniche e l’opportunità di ulteriori rialzi in un mercato che rimane, a oggi, strutturalmente ben sostenuto.