Eccessi di pessimismo

Attenzione a non confondere la crisi di alcuni pur importanti soggetti con la crisi di tutto e tutti. La caduta di Credit Suisse è un fatto pesante, ma non giustifica analisi apocalittiche su tutto il sistema bancario elvetico o in alcuni casi sull’intera economia svizzera. Così come la crisi di alcune banche negli Stati Uniti certamente non è un fatto positivo, ma non giustifica, sulla base di fatti e dati disponibili, affermazioni su una crisi di tutto il sistema finanziario americano o addirittura mondiale. Come sempre accade, quando ci sono casi di difficoltà aumenta il volume del catastrofismo e la memoria corta di molti non aiuta a ricordare le tante profezie di sventura che non si sono poi realizzate. Occorre distinguere le difficoltà presenti, che vanno valutate e affrontate, dal quadro più generale che non è fatto solo di ombre, mantenendo il giusto equilibrio nell’analisi.
Se ne rendono conto anche i tanto vituperati mercati che, pur con alcuni nervosismi di troppo in questa fase, nel complesso non stanno registrando quel crollo che ogni giorno qualcuno indica. Ieri l’indice borsistico mondiale in dollari Msci Acwi era circa il 2% sopra il livello di inizio anno. Non è un andamento trionfale, ma non è neppure quella discesa agli inferi che viene descritta da molti. Il discorso non è tanto diverso per la Borsa svizzera, nonostante la bufera su Credit Suisse, con l’indice SMI che ieri era praticamente agli stessi livelli di inizio anno.
Per quel che riguarda la crescita economica, pochi giorni fa, a crisi di banche regionali USA ben conosciuta, l’OCSE ha indicato una previsione per il 2023 del 2,6%, cioè 0,4 punti in più rispetto alla stima di novembre, a livello mondiale. Sempre pochi giorni fa, a crisi di Credit Suisse ben emersa, la SECO ha indicato per la Svizzera una previsione di crescita dell’1,1% per quest’anno (corretta dagli eventi sportivi), cioè 0,1 punti in più rispetto alla stima di dicembre. C’è chi pensa che le maggiori istituzioni economiche non siano in grado di prevedere o non la dicano tutta. Ma, a conti fatti, negli anni scorsi non hanno poi sbagliato di molto; quanto al loro per così dire stretto tornaconto, avrebbero semmai interesse a dire che le cose stanno andando peggio, per stupire con migliori risultati finali.
Semplicemente, le banche in crisi sono alcune, tante non lo sono e, pur senza attraversare il loro momento migliore, proseguono nel percorso. Inoltre, senza nulla togliere all’importanza del settore bancario, l’economia è fatta anche di altri servizi, di industria, di commerci. I casi di difficoltà non vanno sottovalutati, ma è sbagliato focalizzarsi solo o principalmente su questi, trascurando i molti casi in cui le cose funzionano, nel settore considerato e poi anche in tutti gli altri.
Occorre trarre insegnamento dai casi negativi per non ripeterli, certo. Ma occorre anche ricordare alcune buone evoluzioni da casi negativi. Per restare alle latitudini elvetiche, la crisi di Swissair è stata un duro colpo, ma oggi la Svizzera dispone ancora di suoi collegamenti aerei con il marchio Swiss, seppure non agli stessi livelli di altre epoche e con un azionista di controllo tedesco. UBS anni fa ha rischiato di fallire, c’è stata una cura dolorosa, ma oggi è ancora elvetica, ha buoni conti ed è in grado di inglobare Credit Suisse. La Confederazione e la Banca nazionale svizzera hanno riavuto i soldi dati a UBS e ci hanno anche guadagnato qualcosa. Le crisi andrebbero evitate, questo è chiaro e richiama peraltro alla questione degli errori specifici di chi ha responsabilità, non sempre necessariamente ad un non funzionamento dell’intero sistema. Vanno considerati i problemi che queste crisi creano, certo, ma anche le esperienze già fatte e in cui ci sono state evoluzioni.