L’editoriale

Elettricità e il rischio Lehman Brothers

Da alcune settimane in Europa aleggia lo spettro del crack finanziario del 2008 che portò alle regole sul “too big, to fail” dei colossi bancari
Generoso Chiaradonna
14.09.2022 06:00

Da alcune settimane in Europa aleggia lo spettro di una sorta di Lehman Brothers energetica. Un chiaro riferimento al crack finanziario simbolo del 2008, quello che portò negli anni successivi alle regole sul “too big, to fail” dei colossi bancari. Gli impiegati - di quella che era uno dei fiori all’occhiello della finanza nordamericana - che uscivano con gli scatoloni in mano è una delle immagini iconiche di quella giornata di settembre di 14 anni fa. Poche settimane dopo, si era in ottobre, la Confederazione annunciò un pacchetto multimiliardario per salvare UBS che era pesantemente imbrigliata nella matassa di titoli tossici, i famosi subprime, all’origine della crisi internazionale. Andò bene. I contribuenti svizzeri salvarono la banca e alla fine l’operazione risultò addirittura vantaggiosa per le casse pubbliche. Questo lo si scoprì solo dopo, però. I brividi che corsero lungo la schiena di chi si trovava allora al fronte erano veri e sentiti.

La linea di credito di quattro miliardi di franchi decisa nottetempo una settimana fa dal Consiglio federale a favore del colosso energetico Axpo un po’ somiglia a quell’operazione. Ieri il Consiglio nazionale ha aumentato in prima battuta a 10 miliardi la garanzia federale per l’intero settore. 

Dovrà poi esprimersi anche il Consiglio degli Stati. È una ciambella di salvataggio preventiva e mira a evitare che la “tempesta perfetta” scatenata dai prezzi del gas crescenti e dalla guerra in Ucraina metta a repentaglio la sicurezza energetica nazionale o peggio, scateni una serie di fallimenti nel settore con conseguenze ancora più drammatiche. Siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma di quelle verosimili. E questo a riprova che l’energia è vitale per imprese e cittadini.

Il governo svizzero non è l’unico in Europa ad aver messo in piedi un ombrello finanziario a favore di aziende energetiche in difficoltà. Finlandia e Svezia per prime hanno annunciato misure analoghe. La Gran Bretagna ha stanziato 40 miliardi di sterline, sempre in linee di credito, per garantire l’operatività di imprese del settore. Anche la Germania ha messo a disposizione 20 miliardi di euro per il colosso Uniper e altri 67 miliardi sono in discussione.

I cittadini comuni – che già hanno messo in conto di pagare di più l’anno prossimo – però si chiedono come mai si è arrivati a questo punto, visto che teoricamente i maggiori costi di produzione o acquisto dell’energia finiscono in bolletta e quindi si trasformano in profitti più elevati per le utilities, come sono note le imprese del settore. La spiegazione, oltre alla guerra in Ucraina e alle conseguenti sanzioni e misure di ritorsione tra Russia ed Europa, è da cercare nella finanziarizzazione del commercio di energia, in particolare di quello europeo del gas che influenza anche il prezzo della corrente elettrica. Il mancato rispetto della “margin call”, ovvero la richiesta di integrazione di liquidità o di collaterale per le società che operano sui mercati futuri dell’energia, potrebbe essere la causa scatenante. I contratti futuri, a due-tre anni stipulati dai big dell’energia proprio per proteggersi da variazioni al ribasso o al rialzo del prezzo, registrano una volatilità estrema. Aziende solide, con bilanci in attivo e redditizie, ora rischiano di scivolare pericolosamente fino al capitombolo finale proprio su questi contratti il cui valore è influenzato da una domanda crescente, per le famose scorte strategiche in previsione dell’inverno e – venendo a mancare il metano russo – da una scarsità di prodotto. Cittadini e imprese rischiano di pagare quindi due volte: una volta come contribuenti e un’altra come clienti.