Emiro all'incrocio

Favole al telefono

Dopo aver sorriso in svariate circostanze – per la bellezza di un gol o la risposta inaspettata di un ct – in Qatar abbiamo finalmente anche riso
Massimo Solari
01.12.2022 06:00

Al sesto giorno di Mondiali abbiamo perso anche il telefonino dell’azienda. Di nuovo complimenti. A questo giro, però, abbiamo evitato scientemente d’informare moglie, amici e - va da sé - il datore di lavoro. Parecchio imbarazzati, abbiamo creduto in un improbabile miracolo. Invero, eravamo piuttosto sicuri del luogo dello smarrimento: una delle due sale stampa del Qatar National Convention Center. Dettaglio non trascurabile: un luogo frequentato da migliaia di persone al giorno. Di qui le flebili speranze e la convinzione che - al rientro - avremmo dovuto fornire un paio di spiegazioni. «Invece sarà trovato, glielo assicuro» la promessa dell’addetta del centro media alla quale - prima di Svizzera-Camerun - ci siamo rivolti una volta avvertito il vuoto nella tasca sinistra. Abbiamo lasciato nome, numero dell’accredito e contatti. E salutato con un «aspetto vostre notizie, ahè». Tre ore dopo, alle prese con il racconto della partita, una mano si è però posata sulla nostra spalla: «Il suo telefono, come previsto, è stato rintracciato. Potete recuperarlo al bancone degli oggetti smarriti del QNCC». Ah. Siamo rimasti senza parole. «Vuole anche un po’ di frutta e dell’acqua?» ha aggiunto la ragazza, forse vedendoci interdetti.

Ora, il telefonino, lo teniamo in una tasca interna dello zaino. Al sicuro. Che poi, se c’è un aspetto sul quale Qatar 2022 si sta distinguendo è proprio la sicurezza. No, non il controllo, quella è un’altra storia. Ma la sicurezza intesa come percezione e altresì condizione reale. L’altro giorno, per immergerci in Argentina-Messico, abbiamo scelto di raggiungere il Lusail Stadium in metropolitana. Finalmente; per una ragione o per l’altra avevamo sempre dovuto optare per bus e taxi. Non potevamo prendere decisione migliore. È stato un viaggio coinvolgente, mescolati tra magliette albiceleste e verdi. Tra cori e contro-cori. Un continente itinerante sulle rotaie di un altro continente. La passione e la fede viscerale delle due tifoserie - così come quella dei sostenitori di Arabia Saudita, Iran e Marocco - sta facendo davvero bene all’anima del torneo. Lo ha fatto alla nostra, per l’occasione. Di tensioni, suggerivano, nemmeno l’ombra. Anzi: dopo aver sorriso in svariate circostanze - per la bellezza di un gol o la risposta inaspettata di un ct - abbiamo anche riso. Di cuore. E non è la stessa cosa. All’andata, un tifoso argentino - sulla settantina - si è ritrovato in mezzo alle divise avversarie. «Mexico, Mexico, Mexico!» le urla tutte intorno a lui. Il dito medio dell’uomo canuto, accennato con la mano sinistra dietro la schiena, non ci è sfuggito. Poco elegante. Nemmeno il tempo di farci un’idea superficiale del soggetto, che una coppia messicana si è rivolta a lui, scusandosi per le ostilità. E avviando una conversazione quasi fraterna, durata sino al capolinea. Bello. Sulla via del ritorno, a imprimere i loro volti nei nostri ricordi sono quindi stati due 12.enni qatarioti. Entrambi vestiti con il tradizionale thobe, sono stati interpellati da un fan argentino. Lui sulla trentina. Ha abbozzato una parola in arabo, probabilmente appresa qualche ora prima. Non si sono capiti. Il traduttore vocale, impostato sul cellulare di uno dei due ragazzini, ha peggiorato le cose. Siamo certi interpretando male il messaggio. «Tu madre es muy hermosa» è apparso sullo schermo rivolto al sudamericano. Eh? Cosa?! Noi abbiamo ancora il mal di pancia. Anche perché la bionda che accompagnava il tifoso dell’Albiceleste - poverina - non doveva avere più di 35 anni.

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