Fenomenologia di Conchita Wurst

di MORENO BERNASCONI - A costo di deludere le opposte tifoserie dei progressisti e dei reazionari, non intendo unirmi ai cori né di chi inneggia alla vittoria sull'omofobia né di chi si straccia le vesti per il trionfo canoro di un pervertito. Senza bisogno di scomodare le battaglie di civiltà (o di inciviltà), il fenomeno Wurst non è infatti una tappa sul cammino delle sorti magnifiche e progressive dell'umanità. Molto più prosaicamente – come dimostrano i milioni di clic e il video virale della sua esibizione all'Eurosong – è l'ennesimo prodotto succoso (e non poteva essere diversamente visto il nome) concepito dai professionisti di quella gigantesca gallina dalle uova d'oro che è ormai diventata l'industria planetaria dello spettacolo nell'epoca digitale. Un'industria che fa leva su pulsioni e frustrazioni ataviche del pubblico (lo spettacolo morboso del deforme, del sesso o della morte...) in linea – pur nella sua patetica mediocrità rispetto ai modelli – con una tradizione che va dalle commedie di Plauto e i giochi gladiatori dell'Anfiteatro Flavio ai riti carnascialeschi medievali su su fino ai concerti di Marylin Manson o Madonna e suoi grossolani epigoni recenti (Lady Gaga o Miley Cirus). Cos'è il fenomeno Conchita Wurst? L'abbinamento del nome Conchita/Wurst possiede una carica d'attrazione/repulsione. Conchita è il diminutivo di Concepciòn nome che nella tradizione cattolica rinvia all'Immacolata concezione, la figura di madre più nobile e sublime in assoluto. La contrapposizione con una salsiccia (Wurst), ovvero carne e di bassissimo livello – per di più comicamente evocatrice di uno dei simboli della cucina viennese, i Wienerli – ha un impatto sacrilego e dissacratore. Una dissacrazione pacchiana, intendiamoci, giacché salsicce e insaccati veri sono già stati sdoganati da tempo dall'arte contemporanea e per ciò stesso sacralizzati e accolti a braccia aperte nei nuovi templi museali. Ad ogni buon conto, le polemiche dimostrano che l'obiettivo di marketing è stato raggiunto. L'abbinamento barba maschile/corpo e trucco femminile è anch'esso ad effetto: a fortiori se si pensa che il volto di Conchita è un mix fra Sandokan e Jesus Christ Superstar. In una società della Pop Art volgarizzata, l'icona Wurst ha tutto per imprimersi (per qualche effimero mesetto) nella memoria del pubblico. La donna (o trans) con la barba merita un discorso a parte. Neanche qui siamo in presenza di un novum: il circo Barnum e dopo di lui tanti altri fecero soldi a palate mostrando a un pubblico avido di deformità donne con la barba, donne cannone, mezze donne, uomini con tre gambe e via discorrendo. A dire il vero in quei casi si trattava di fenomeni autentici. Nel caso di Wurst o di Conchita, non solo il nome non è autentico, ma neppure il suo ermafroditismo (a quanto sembra, ma non mi si chieda per favore di verificare...). Maschera, travestimento oppure no, sta di fatto che da sempre questi fenomeni sono stati un gran bella (si fa per dire) macchina da soldi: non solo per l'industria circense ma, in taluni casi, anche per gli stessi protagonisti. Vedremo se e quanto durerà la barba di Wurst. Spero di aver convinto qualche lettore che ha avuto la pazienza di leggermi fin qui, che il fenomeno Conchita-la salsiccia va preso per quello che è: un grosso affare (non mi si fraintenda). Post scriptum. Non ho fatto questo articolo per nobili motivi. Anch'io ho voluto approfittare biecamente del fenomeno Wurst e della rete mangiasoldi che la sostiene. Il nome Conchita Wurst contenuto nel titolo dell'articolo farà infatti schizzare anche il nome del vostro umile servitore ai primi posti dei motori di ricerca della rete globale. Come diceva Totò: «Ccà nisciuno è fesso»!