Pensieri di libertà

Firmare i missili

Nikki Haley, in visita allo Stato ebraico armata di pennarello, firma alcuni missili israeliani destinati al conflitto dopo avervi scritto un breve messaggio
Francesca Rigotti
Francesca Rigotti
06.06.2024 06:00

È di pochi giorni fa la notizia, con tanto di foto, di Nikki Haley, ex ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU e ex candidata dei Repubblicani (il loro «volto umano») in concorrenza con Donald Trump per le elezioni presidenziali di novembre.

Haley, in visita allo Stato ebraico armata di pennarello, firma alcuni missili israeliani destinati al conflitto dopo avervi scritto un breve messaggio: «Finish them. America ♡ Israel Always». La polemica seguitane ha riguardato soprattutto la politica da lei espressa su Israele, considerata analoga a quella di Biden, mentre di fatto Haley si è spostata su posizioni sempre più filotrumpiane e non è detto che non ce la si ritrovi in lizza per la presidenza, se i guai giudiziari di Trump dovessero travolgerlo.

Qui però vorrei soffermarmi proprio su quel gesto, sullo scrivere messaggi sui missili destinati a morte e distruzione. Anche perché noi che abbiamo la memoria lunga ci siamo ricordate di simili scritte in simile contesto. Era il 2006, e quella volta a essere fotografate furono bambine israeliane che in una visita ad un campo militare scrivevano messaggi sui proiettili destinati al Libano. Ho trovato conferma del mio ricordo in articoli conservati in rete tra i quali ho scelto «The Guardian» per avere lo sguardo più imparziale possibile. E sì, le bambine, con i lunghi capelli legati in ingenui codini, scrivevano messaggi per chi da quei proiettili sarebbe stato ucciso o avrebbe avuto la casa distrutta: «(From) Israel with Love», si legge su uno di quelli. E poi mi viene di collegare quelle immagini ad altre, attualissime, nelle quali ragazzini di famiglie di coloni israeliani attaccano i convogli umanitari destinati a Gaza, non per impadronirsi dei pacchi di cibo e beni di conforto ma per gettarli a terra sul ciglio della strada e renderli inservibili. Mentre si vedevano poco dopo (in un notiziario di Arte) altri cittadini israeliani, soprattutto anziane, che cercavano di recuperare quel materiale perché potesse arrivare a destinazione.

E noi qui in Europa che ci sgoliamo per l’educazione alla pace e là i bambini - anche i bambini palestinesi che si fanno fotografare con cinture piene di falso esplosivo suicida - vengono allevati alla cultura della guerra, e tirati su non a latte ma a odio. Noi che in Europa riconosciamo il diritto all’esistenza dello Stato palestinese, noi che vediamo Spagna, Irlanda e Norvegia, e non certo per sostenere Hamas, aggiungersi alle 140 nazioni che già lo riconoscono, non possiamo che rimanere sconcertati e amareggiati. Noi che approviamo la recente nuova Raccomandazione dell’UNESCO all’educazione alla pace e ai diritti umani non possiamo che rimanere sbigottiti di fronte a queste pratiche apparentemente innocue. Sbigottiti ma non inerti, mai.