L'editoriale

Forbici bernesi, lacrime ticinesi

Le misure di risparmio della Confederazione e la reazione del Consiglio di Stato
Gianni Righinetti
06.05.2025 06:00

Dopo il no della Conferenza dei governi cantonali ecco il no del Ticino, che si somma a quello già espresso da altri Cantoni e istituzioni. Il Consiglio federale ormai incassa una cascata di opposizioni al piano di risparmi della Confederazione per complessivi 6,3 miliardi di franchi con orizzonte 2028 che Berna intende concretizzare con 59 misure puntuali proposte da un gremio di esperti capitanati dall’ex capo dell’Amministrazione federale delle finanze Serge Gaillard. Berna ha risposto ai Cantoni che resta in attesa di misure alternative.

Il Consiglio di Stato, come chi lo aveva preceduto, non critica l’obiettivo (risparmiare), ma il «come» è stato previsto. Il messaggio è chiaro: si può fare meglio, arrecando minor dolore e riducendo lo sconquasso senza finire per ribaltare semplicemente oneri dal livello superiore a quello inferiore. Il risultato dello «scaricabarile» finirebbe per sgravare la Confederazione a svantaggio dei Cantoni. C’è la consapevolezza che il risanamento delle finanze federali persegue un interesse collettivo ma quando qualche primo conto arriva ad ipotizzare un impatto diretto e indiretto sul Ticino pari a 55 milioni di franchi, il Governo alza la voce e afferma che l’esercizio è fallimentare, con il presidente del collegio cantonale Norman Gobbi che non ha esitato a parlare di «federalismo predatorio». In sostanza ci sarebbero un lupo bernese e una pecorella ticinese. È sacrosanto il principio che vede ognuno difendere il proprio orticello, cercando di proteggersi da incursioni non gradite ritenute dannose.

Se l’Esecutivo cantonale non difendesse la nostra realtà e accettasse supinamente il piano politico e finanziario federale, verrebbe meno a un suo puntuale compito. Poi il discorso va immediatamente sul come questo viene fatto, con quali motivazioni e se sia una mossa credibile o il più classico boomerang. Quando si dice la situazione tra Cantoni è «estremamente eterogenea», è un po’ come sostenere o scoprire che miscelando l’acqua calda e quella fredda si ottiene l’acqua tiepida. Se Berna manca d’attenzione nel calibrare il sistema perequativo che stabilisce principi universali all’interno del nostro sistema-Paese, è su quell’operazione di riequilibrio che vanno poste tutte le attenzioni. In realtà il Ticino si è mosso, ma è parsa più un’intenzione di bandiera che una mossa sostenuta da una convinzione sottoscritta dall’intero arco costituzionale cantonale. C’è da scommettere che ora il moto d’indignazione contro la Berna «brutta e cattiva» prenderà piede e molti diventeranno in questo decisamente filogovernativi, anche nel recriminare quel «mancato coinvolgimento» che è alla base della protesta e del lamento. Tutto lecito, finanche legittimo nella politica di oggi che misconosce il termine responsabilità declinato con senso autocritico, ma ne abusa riversandolo su altri per sottolineare una discriminazione o un torto subito.

In questo racconto c’è però una variabile che rende tutto un po’ paradossale. Lo stesso Ticino che alza la voce è poi protagonista su scala cantonale delle stesse dinamiche rinfacciate a Berna nei confronti del livello inferiore, i Comuni, e rischia di praticare lo stesso scaricabarile. Vien da dire che chi di ribaltamento ferisce, di ribaltamento perisce. Criticare con tanta veemenza politica quanto fatto nei confronti dei Cantoni, finirà per prestare il fianco alla stessa critica per ogni genere di risparmio, finendo per generare impasse e imbarazzo già in vista del Preventivo del 2026 che è in gestazione e che presto produrrà i primi spifferi e rumors sulla rotta seguita e sui destinatari dei sacrifici per l’anno che verrà e per quelli a seguire. Poi, per carità, si può anche credere (in buona fede) a chi rivendica come un mantra (con stucchevole incoerenza) che la leva del debito pubblico è, e sarà, il grimaldello per risolvere ogni genere di problema. Ma meglio sempre diffidare da chi suggerisce scorciatoie. I problemi si affrontano, non si aggirano.

Oggi quel Governo che chiede a tutte le forze politiche di assumersi le proprie responsabilità e di farsi parte diligente e collaborativa perché con le finanze nello stato attuale il futuro non è roseo, scivola incredibilmente su una buccia di banana mostrandosi debole e rivendicativo, anziché orgoglioso e propositivo. Appare evidente che, a chi mostra le forbici, non si reagisce in maniera un po’ fanciullesca con una valle di lacrime, fornendo così un facile, ma invero poco esemplare, alibi per evitare di mettere mano politicamente alle finanze, spianando la strada a meccanismi come il «decreto Morisoli» o il «taglio matematico» dei dipendenti pubblici.