Il commento

Francia, la strada è lunga e passa dalle famiglie

Le violenze sono rientrate da giorni, anche a fronte di 45 mila agenti delle forze dell’ordine che il presidente Emmanuel Macron ha continuato a tenere schierati anche dopo il picco delle rivolte urbane
Paride Pelli
14.07.2023 06:00

Le violenze in Francia sono rientrate da giorni, anche a fronte di 45 mila agenti delle forze dell’ordine che il presidente Emmanuel Macron ha continuato a tenere schierati anche dopo il picco delle rivolte urbane. Si è dovuto attendere - pur con un’apprensione tuttora presente - questo 14 luglio, festa nazionale, per dichiarare lo scampato pericolo. Ma ad oggi la rivolta non ha più la massa critica per trasformarsi in qualcosa di peggio. Possiamo dire che è stata una enorme esplosione di violenza del tutto fine a sé stessa. A differenza dei cittadini che sono scesi in piazza tra gennaio e marzo di quest’anno contro la riforma delle pensioni, questa volta i rivoltosi non avevano nessuna richiesta politica da portare avanti. Volevano solo distruggere, depredare, mettere a ferro e fuoco. E magari anche, come ha detto qualcuno con opinabile indulgenza, «esprimere la propria rabbia» per l’uccisione di un minorenne da parte di un agente di polizia.

Tale insensata deflagrazione di violenza è comunque accaduta nel cuore dell’Europa, con disordini che sono arrivati per contagio anche in Svizzera, a Losanna, e proprio questo dato ci consiglia di non «mettere via» l’accaduto, neppure ora che - a meno di smentite legate proprio alla festa nazionale - lo tsunami si è placato. Lo stesso Macron, parlando ai 250 sindaci delle città più colpite, ha dichiarato giorni fa che oltre a un piano di ricostruzione veloce servirà pure un pensiero «a lungo termine» finalizzato a capire come siano potuti accadere tumulti così gravi. Quasi un «mea culpa» del presidente, anche a nome dei suoi predecessori.

Partiamo proprio da qui. La Francia, come d’altra parte la Svizzera, è una delle nazioni europee che più hanno fatto in termini di integrazione dei migranti. Parigi ha speso negli ultimi quarant’anni decine di miliardi di euro nella politica urbana e nel recupero dei quartieri difficili, quelle banlieue rese celebri e famigerate da molti film e romanzi. Alla luce dei fatti della scorsa settimana, questi sforzi sono serviti a poco. Grande parte dei rivoltosi è composta da immigrati di seconda e terza generazione, e davvero troppi di loro sono minorenni, quasi dei bambini, tra i 12 e i 13 anni, «dotati di una disinibizione e di una assenza di limiti sconvolgente», come hanno riferito le cronache. Certo, la loro frustrazione può essere in parte ricondotta a fattori sociali ed economici e alla difficoltà di costruire e mantenere una propria identità che non si definisca soltanto nel perpetuo conflitto con quella del Paese che ha accolto il loro genitori o i loro nonni. Ma ci sono altre cause più profonde, e ci sembra che sia stato lo stesso Macron a intercettarle, quando ha ipotizzato l’introduzione di sanzioni economiche per le famiglie dei casseur, una sorta «di tariffa minima alla minima stupidaggine» dei minorenni non sorvegliati, da attuarsi «non necessariamente» attraverso la sospensione dei sussidi familiari.

Già, la famiglia. Alla fine, anche uno statalista come Macron ha dovuto prendere atto che molto parte da lì. È innanzitutto il nucleo familiare che, tra mille sforzi e difficoltà, può educare o non educare, favorire l’integrazione o negarla, spingere al dialogo o alla violenza. Ma il fatto che, dopo tanti sostegni sociali e finanziari alle famiglie di migranti affinché si integrassero, la Francia sia arrivata ora a valutare sanzioni pecuniarie per i genitori dei teppisti, suona come una sconfitta: la strada da percorrere sarà ancora molto lunga e la Francia dovrà ripensare non poche strategie politiche dell’ultimo mezzo secolo. Rimettendo al centro l’idea di famiglia ma anche, necessariamente, i principi secondo cui i genitori dovrebbero educare i figli. E qui la faccenda si fa complicata, poiché il nostro presente, con le sue tecnologie pervasive e i social media sfuggenti che ora proprio Macron sta valutando di sospendere in caso di nuove rivolte, non aiuta di certo.