Editoriale

Giorgia Meloni sempre più al centro dell’Europa

Fra i tanti paradossi della politica europea c’è anche quello della stabilità del Paese storicamente più instabile, cioè l’Italia
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
11.06.2024 06:00

Fra i tanti paradossi della politica europea c’è anche quello della stabilità del Paese storicamente più instabile, cioè l’Italia. La maggioranza di centrodestra di Giorgia Meloni ha consolidato i propri consensi in una tornata elettorale che ha visto la netta sconfitta dell’asse franco-tedesco di Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Il presidente francese, umiliato da Marine Le Pen e Jordan Bardella, tenta la carta delle elezioni anticipate. La speranza è che lo shock crei un movimento repubblicano nel Paese. E un’eventuale e inedita coabitazione con un premier di destra (il nipote di immigrati piemontesi Bardella?) depotenzi gli avversari caricandoli di responsabilità di gestione e dell’imminente aggiustamento di bilancio. Il cancelliere socialdemocratico tedesco, invece, mai avrebbe pensato a un sorpasso del suo partito, l’Spd, ad opera della destra estrema di AfD, votata anche dai giovani con un’affluenza in crescita. Anche il socialista spagnolo Pedro Sánchez si è dovuto accontentare del secondo posto dietro ai popolari di Alberto Nuñéz Feijóo.

Fratelli d’Italia invece, in queste elezioni europee, ha migliorato persino il risultato, già straordinario, delle Politiche del 2022. Non solo. Meloni, che guida anche il gruppo europeo dei  conservatori di Ecr, diventa a questo punto una figura ancora più centrale sulla scena europea. L’ago della bilancia. E pensare che la prima premier donna italiana, appesantita dall’ identità post fascista del suo partito - dalla quale non si è ancora del tutto liberata - sembrava ai margini del gioco di potere europeo. Invece si è rivelata un’interlocutrice preziosa, se non decisiva, di Ursula von der Leyen, candidata a un altro mandato come presidente della Commissione europea. I rapporti sono buoni. E se c’è una persona che può mediare tra von der Leyen e Le Pen - che appartiene all’altra destra, quella di Identità e Democrazia (con la Lega di Matteo Salvini) - è proprio lei. L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione europea. Non potrà non partecipare alla scelta che riguarderà i vertici delle istituzioni comunitarie. Per orgoglio e convenienza.

L’attuale coalizione di maggioranza a Strasburgo, fra popolari, socialisti e liberali, è stata confermata dal voto. Nonostante il vento forte delle destre. Per la prima volta nella storia dell’Unione europea l’asse franco-tedesco appare indebolito. Cinque anni fa, sia i sovranisti polacchi del Pis di Mateusz Morawiecki sia gli italiani del governo populista e gialloverde di Giuseppe Conte, condivisero l’indicazione di Macron e Merkel per von der Leyen. Peraltro a dispetto del candidato ufficiale dei popolari, che era Manfred Weber. E i Cinque Stelle votarono di conseguenza von der Leyen in Parlamento.

Macron e Scholz oggi non appaiono in grado di ripetere lo stesso schema. L’area della scelta si allarga agli spagnoli e agli stessi polacchi di Donald Tusk, che appartiene al Ppi. E ovviamente, a maggior ragione visto il successo elettorale e il peso relativo di Ecr, a Meloni che però non vuole allearsi, nemmeno indirettamente, con i socialisti. Il dilemma è bruciante. Il veleno nella coda di un trionfo elettorale. Meloni vuole contare senza snaturarsi, senza mettersi in urto con Salvini (Forza Italia è tra i Popolari). Ma se riuscisse a far cambiare programmi alla maggioranza - sulla transizione ecologica, sull’immigrazione - potrebbe dire che a cambiare sono stati gli altri. Il crinale è sottile, impervio. E sovranisti e nazionalisti, che hanno preso voti contro le regole dell’Unione europea, si adattano a rispettarle facendo persino di necessità virtù. Ci si preoccupa ma non ci si annoia.

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