Pensieri dal battellino

Giù la testa candidato

«Ehi voi, coglionazzi, dov’è il Barbera fatto col mulo?», ci hanno gridato dal molo di San Rocco mentre con il battellino stavamo facendo una ricognizione sullo stato dei pontili
Bruno Costantini
21.01.2023 06:00

«Ehi voi, coglionazzi, dov’è il Barbera fatto col mulo?», ci hanno gridato dal molo di San Rocco mentre con il battellino stavamo facendo una ricognizione sullo stato dei pontili. La cosa mi ha indispettito perché gratuitamente villana (benché, come ci insegnano I demoni di Dostoevskij, anche il turpe gesto gratuito abbia a volte un inspiegabile fascino) ma ho preferito soprassedere. Invece Asia, tutta imbacuccata con una sciarpina di Gucci radical-chic e una cuffia rosa, è rimasta basita e ha voluto fare la maestrina mettendomi sotto il naso diversi vocabolari i quali accertano che «coglione» (volg.) ha due significati: 1) testicolo; 2) persona imbecille, incapace: fare la figura del coglione, dim. coglioncello, coglioncino, pegg. coglionazzo. Con questo la mia amica microinfluencer del lago avrebbe voluto suscitare il mio sdegno verso gli sboccati di San Rocco, però bisogna ammettere che il termine è stato sdoganato da tempo nel linguaggio comune. Alla lezioncina lessicale di Asia ho replicato con una lezioncina cinematografica. Ci sono due celebri esempi diversi fra loro che già negli anni Settanta del secolo scorso avevano usato con efficacia il vocabolo in questione. Giù la testa del 1971 non è l’opera più riuscita di Sergio Leone, un film dalla lavorazione travagliata che il grande regista non avrebbe nemmeno voluto dirigere e che contiene comunque sequenze memorabili dall’inconfondibile cifra stilistica. Anche alcune battute sono diventate famose, come quella che dà il titolo al film. «Giù la testa, coglione!», è l’esortazione che l’irlandese dinamitardo James Coburn rivolge al peone messicano Rod Steiger, rivoluzionario per caso, prima che qualche goccia di nitroglicerina faccia un botto micidiale. Un altro esempio si trova nella sociologia fantozziana. Nel Secondo tragico Fantozzi di Luciano Salce del 1976 il ragionier Ugo, durante la sfida a biliardo con il conte Diego Catellani gran maestro dell’ufficio raccomandazioni e promozioni, viene più volte apostrofato con la qualifica di «coglionazzo» dal feroce superiore, prima di avere uno scatto d’orgoglio e invertire le sorti della partita («Il suo è culo, la mia è classe, coglionazzo», commenterà stizzito il conte Catellani). Tutto ciò porta a concludere che il deputato e candidato al Consiglio di Stato Paolo Pamini dal punto di vista linguistico non ha inventato nulla al congresso democentrista quando ha affermato che «l’UDC è un partito con i coglioni, con due coglioni, non due coglionazzi in Governo». Nel significato la dichiarazione è sibillina, visto che Pamini, finendo per incartarsi da solo, ha dovuto spiegarla così da levare il sospetto che per «due coglionazzi in Governo» intendesse gli alleati leghisti. Tuttavia questo ad Asia non interessa, lei sostiene che è questione di forma. Qui posso darle ragione. Nonostante nella storia politica del Ticino le parole pesanti siano sempre volate e nonostante da un trentennio il leghismo domenicale sia campione dell’invettiva greve, è probabilmente la prima volta che certi termini entrano nei discorsi di un congresso di partito, che è luogo di ufficialità, anche nell’immagine verso il Paese. Pamini voleva dimostrare che è uno del popolo come noi, che parla come noi? Può esserci qualcosa della fenomenologia di Mike Bongiorno teorizzata sessant’anni fa da Umberto Eco, ma per salvare forma e sostanza basterebbe ingiungere a chi di dovere (ognuno può metterci il nome che vuole) un semplice: «Giù la testa». Questa è classe.