Il commento

Giustizia e politica

Tre sono le colonne portanti della struttura di qualsiasi società per il proprio funzionamento, dalla più piccola associazione alle forme statuali più importanti. Parliamo delle regole, dell’autorità e del sistema giudiziario
Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
27.06.2025 06:00

Tre sono le colonne portanti della struttura di qualsiasi società per il proprio funzionamento, dalla più piccola associazione alle forme statuali più importanti. Parliamo delle regole, dell’autorità e del sistema giudiziario. Le Regole fanno chiarezza per i comportamenti, distinguono il lecito dall’illecito, sbarrano la via alla forza e alla prepotenza. L’Autorità deve sorvegliare ed assicurare l’applicazione delle regole facilitando un’armoniosa convivenza. La Giustizia che ha il delicatissimo compito di dirimere contenziosi che nascono dall’applicazione e dalla interpretazione delle regole (le leggi) tanto nei rapporti tra i soggetti quanto in quelli tra loro e l’Autorità. Ovviamente parliamo in termini di teoria, in quanto regole, autorità e giustizia si esprimono con accenti diversi o addirittura contraddittori in Stati autocratici o dittatoriali e lo sono oggi purtroppo la maggioranza dei 193 Stati membri dell’ONU. Constatiamo che anche nel mondo democratico le frizioni tra l’autorità (governi, parlamenti, partiti politici, poteri burocratici) e i rappresentanti del mondo giudiziario da qualche tempo superano il normale utile scontro dialettico per assumere forme di contrasto diretto.

Da sempre vi è una comprensibile fisiologica conflittualità, le leggi, sempre più numerose e talvolta desuete, si scontrano con realtà sociali di un mondo che evolve. Comprensibile l’inclinazione di giudici di adeguare, con l’applicazione della giurisprudenza, le norme alla realtà in movimento. Una burocrazia sempre più invasiva e tendente a tutto regolare rende il rapporto ancor più faticoso. Comprensibile pure, ma pericoloso, quando il giudice non resiste alla tentazione di apportare modifiche che la politica, o perlomeno l’espressione della maggioranza al governo, per qualunque motivo, non condivide e il giudice tenta di sostituirsi al legislatore. Anche perché spesso persino tra i giudici non vi è unanimità. In una recente inchiesta svizzera si sono sottoposti casi fittizi a giudici diversi e si è avuta un’impressionante diversità nella formulazione delle sentenze. Preferibili, pertanto, gli errori di molti cittadini votanti, a quelli di pochi giudici. Conseguenze negative hanno pure atteggiamenti di magistrati che aspirano ad essere parte diretta nello scontro politico. In Italia Berlusconi è stato oggetto di uno straordinario numero di procedimenti giudiziari, sicuramente numerose decine. Pur essendo un grande imprenditore, non è stato uno stinco di santo e ha fatto gli affari suoi, ma l’accumulo di procedure, non certo tutte di assoluta necessità, e le diverse sentenze di assoluzione o di archiviazione svalutano i procedimenti di maggiore importanza e permettono all’imputato ed ai suoi sostenitori di parlare di persecuzione giudiziaria.

La misura e l’opportunità che debbono reggere l’attività del giudice non permettono il protagonismo. Alain Finkielkraut, accademico di Francia, ha criticato la decisione frettolosa ed inutilmente anticipatoria con la quale i giudici hanno dichiarato la signora Le Pen ineleggibile per eliminarla dalla prossima competizione per la presidenza della Francia. Milioni di elettori, non pochi giudici, debbono scegliere il Presidente del Paese.

In Germania vi è chi vorrebbe addirittura che un ristretto numero di giudici dichiari un partito che ha milioni di aderenti ineleggibile, influenzando i possibili risultati elettorali. Vi è inoltre un fiorire di tribunali internazionali il cui vero scopo più che l’amministrazione della giustizia è l’affermazione di certi postulati e ideologie. Che il Tribunale penale internazionale abbia emesso un mandato di cattura per Putin, che nel contempo viene omaggiato da Capi di Stato di diversi importanti Paesi e dal Segretario generale dell’ONU, fa sorgere qualche interrogativo. La giustizia deve stare attenta a non esondare su terreni scivolosi. La Corte europea per i diritti dell’uomo è pure un altro di questi tribunali. Nascono con l’intento di valorizzare e promuovere certe tesi più che dirimere contrasti. In considerazione dell’orientamento i giudici nominati spesso non vengono dalla carriera giudiziaria ma hanno militato precedentemente in ONG o altre organizzazioni che si battono a sostegno di convinzioni ideologiche. Non sono dei giudici, hanno maggiormente il pur rispettabile profilo dell’attivista, ciò che non è certo garanzia di imparzialità. Non per nulla ben nove governi europei hanno recentemente scritto a questo Tribunale lamentandosi e protestando per l’ingerenza dei giudici.

Il fatto che il vero attore di una recente causa e relativa richiesta di condanna della Svizzera, Paese accusato ridicolmente (il fanatismo spesso esonda nel ridicolo) perché metterebbe in pericolo la vita di attempate ma vivaci signore, sia Greenpeace (che, lo ripeto sempre, in un caso personale ho fatto condannare penalmente), la quale gestisce e finanzia il tutto (si parla di un costo non lontano dal milione) avrebbe dovuto mettere in sospetto i giudici addirittura per quanto riguarda la legittimazione attiva. Delicata posizione di giudici che possono aver condiviso in passato, magari attivamente, le campagne di Greenpeace. La politica consiste in un costante scontro di interessi, che talvolta si tenda a barare lo sappiamo, ma se la giustizia pretende un ruolo che non le compete facendo essa stessa politica di parte perde i suoi attributi più importanti: autorevolezza e credibilità.