Gli USA, la Svizzera e la tormenta commerciale

La guerra dei dazi non è affatto conclusa, nonostante sembra che vi siano segnali che con una quindicina di Paesi, tra cui la Svizzera, i negoziati con Washington siano a buon punto. A 100 giorni dall’insediamento alla Casa Bianca il presidente americano continua a combattere su tutti i fronti, ma finora senza poter esibire alcun risultato concreto. Il clima di incertezza creato il 9 aprile con l’avvio della guerra commerciale pesa sempre di più sulla stessa economia americana, mentre resta vivo il confronto decisivo con la Cina, con la quale non si capisce nemmeno se siano state aperte discussioni informali.
Nei rapporti con Pechino, Donald Trump ha attentamente nascosto quale sia il suo obiettivo finale: ridurre il forte disavanzo americano negli scambi commerciali bilaterali oppure avviare una politica che tenda a compromettere il futuro dell’economia cinese. Nel primo caso la trattativa si presenta difficile e lunga (forse anche mesi), ma permetterebbe di creare le premesse per procedere verso un nuovo ordine internazionale; nel secondo si tratterebbe di un primo passo verso una nuova guerra fredda. Quindi stiamo assistendo ad una prima tappa del confronto tra le due potenze che confermerebbe la prospettiva di un conflitto, sostenuta da alcuni esperti, tra una potenza declinante, gli Stati Uniti, e una potenza emergente, la Cina. La partita non si gioca solo a Washington, ma anche a Pechino dove la guerra commerciale avviata da Trump viene sempre più considerata come una minaccia esistenziale. Queste considerazioni si scontrano con una realtà che appare sempre più evidente: le economie di Stati Uniti e Cina sono sempre più interdipendenti e disallinearle sarebbe un’impresa costosa che richiede anni, se si pensa che si dovrebbero trasferire intere linee di produzione. I dazi doganali statunitensi non minacciano solo la Cina, ma anche il resto del mondo. I primi a reagire sono stati i mercati finanziari con la caduta delle borse e del dollaro e all’inizio anche delle obbligazioni statali americani, che mettevano in discussione la credibilità del debito statunitense e facevano intravvedere il pericolo di una nuova crisi finanziaria. Un po’ di calma è giunta con il rinvio di 90 giorni dell’introduzione dei dazi e molto probabilmente con le minacce e poi l’intesa con Joe Powell, presidente della Federal Reserve, che si sarebbe impegnato a riprendere gli acquisti delle obbligazioni statali. Nei giorni successivi le oscillazioni di Wall Street, il continuo calo del dollaro e cattivi dati economici e d’altro canto la corsa ai beni rifugio, come franco svizzero ed oro, hanno dimostrato che è ancora lontano il ritorno alla normalità. Infatti gli Stati Uniti stanno rischiando una recessione e l’Europa un forte rallentamento di una crescita già molto debole. Anche la forte ascesa del franco svizzero contro il dollaro prefigura tempi difficili, vi è il rischio di una forte frenata deflazionistica che spinge a prevedere che la Banca Nazionale ridurrà presto i tassi allo zero e, se dovesse continuare, li porterà di nuovo in territorio negativo. Insomma, nonostante l’ottimo lavoro svolto dal Consiglio federale nei negoziati con gli Stati Uniti, che fanno sperare in un esito felice, anche il nostro Paese rischia di trovarsi nella tormenta provocata dalla guerra commerciale di Donald Trump.