Commento

Gruppo BRICS e realismo in campo economico

Nel dibattito sul gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) sono attualmente presenti forzature ideologiche che rischiano di portare fuori strada
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
07.11.2023 06:00

Nel dibattito sul gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) sono attualmente presenti forzature ideologiche che rischiano di portare fuori strada. La stessa definizione di Sud del mondo, riferita all’aggregato esistente o a quello futuro, è sbagliata nella forma e nella sostanza. Nella forma è difficile sostenere che Russia e Cina appartengano al Sud del globo. Nella sostanza, la definizione pure non coglie nel segno. Dal punto di vista economico spesso si intende per Sud la parte meno sviluppata del mondo. Ma, ammesso e non concesso che sia ancora esattamente così, anche su questo versante risulta difficile accettare che i Paesi BRICS siano tra i meno sviluppati. Pur essendo catalogati ancora come Emergenti e non come Avanzati, hanno già fatto tratti di strada consistenti.

Ciò detto, ogni Paese o gruppo di Paesi ha naturalmente diritto di scegliere come stare sulla scena internazionale, a patto ovviamente che rispetti i diritti degli altri. Anche porsi obiettivi economici e politici è un diritto. Tuttavia è importante capire quanto questi obiettivi possano poi essere realistici. I BRICS esistenti hanno espresso l’intenzione di far entrare nel gruppo sei Paesi: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti. Prendendo le stime del Fondo monetario internazionale per il 2023, si può vedere come gli attuali BRICS rappresentino circa il 24% del PIL mondiale nominale; l’entrata dei sei nuovi membri porterebbe il gruppo al 27%. Una realtà ragguardevole, che va però ragionevolmente confrontata con quella di altri grandi aggregati.

Gli Stati Uniti rappresentano circa il 25% del PIL globale e se a questa percentuale si aggiunge il 2% del Canada si ha anche sul versante Nord America circa il 27%. L’Europa, che ha i suoi problemi ma rimane un’area economica di assoluto rilievo, può contare sul circa 18% dell’Unione europea (di cui il 15% dell’Eurozona), a cui si può aggiungere un circa 5% formato dal Regno Unito, dalla Svizzera e da altri Paesi pure non UE, per un totale di 23%. Dunque i due grandi aggregati del mondo occidentale rappresentano circa il 50% del PIL globale. Pensando poi ai Paesi che non sono a Occidente ma che con questo hanno chiari legami - Giappone, Australia e altri - si può vedere come la gran parte del PIL mondiale sia ancora creata dalle economie di mercato dei Paesi più sviluppati.

Questo non vuol dire che non ci debba essere interesse per BRICS ed Emergenti, tutt’altro. Significa che tutti possono/devono dialogare anche per lo sviluppo degli scambi, tenendo però presente che nessuno degli aggregati - nemmeno i BRICS allargati - può vantare una leadership di partenza. Occorre dare alle cose le loro proporzioni. Anche perché tutto questo ha riflessi pure sul capitolo obiettivi. Se l’obiettivo dei BRICS è presentarsi costruttivamente con una loro unità di intenti nelle organizzazioni internazionali, tra le quali il Fondo monetario, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio, ebbene ciò potrebbe anche avere risvolti positivi per il confronto mondiale. Se invece l’obiettivo fosse disarticolare completamente il sistema esistente di accordi economici, allora si tratterebbe di qualcosa di sbagliato e di irrealistico.

Anche l’obiettivo di dedollarizzare di fatto gli scambi economici mondiali non è realistico. Un conto è una moderata diversificazione delle monete, un altro conto è una improbabile messa nell’angolo della valuta USA. Nonostante un’erosione negli ultimi decenni, il biglietto verde resta di gran lunga primo negli scambi e nelle riserve. Sul podio ci sono poi euro e yen giapponese, seguono più distanziate altre monete. Dietro un assetto valutario mondiale c’è sempre un intreccio di certezze economiche e politiche che non si può/deve eliminare senza alternative valide e accettate. E ciò è ancor più vero se ad agire è un gruppo politicamente davvero non omogeneo, come quello dei BRICS. È interesse di tutti che il confronto tra le aree prosegua senza terremoti controproducenti.